lunedì 30 luglio 2012

Memorie e giorni


Lenta discrepanza degli ardori
una luce mi divora e sono i giorni.
La mia scorza a tratti pare cedere
sotto il peso dell'inconciliabile.
Non un nuovo verde mi riassale,
e non v'è più trepida attesa
e nulle scale in un giardino per averti.

Muovono i miei passi dentro al tuo pensiero
e la mancanza tua insistita non dà tregua.
Superstite un eco di tua voce mi riumilia.
E' la memoria che c'inchioda sulla terra
schiavi di sensi di passioni;
e la tua vita ricordata
è una serena morte d'abbandoni.

Ieri, quando amore


Ero riappartato nella roggia,
ove ieri vi fu nascondimento per amore.
Giovane sangue scorreva nella foga,
e si avvertiva piena vita.

Rumore delle foglie
lievi inavvertenze camuffate da troppo desiderio.
Era così che mutavamo sensazioni,
un dolore acre già ci consumava
poiché sapevamo del futuro.
Ma il nostro appartenerci era più forte di ragione.

Ci invadeva claustro, fra alberi ed insinui di luce:
un silenzioso languore di radura.
Agitato e fermo il mio desiderio
ti sconfinava sulla pelle
su ogni sua piega matura.
Fra le macerie degli arbusti
un gemito di donna accese la mia anima.

Nel mio dolore di uomo evitato


In nessuna chiamata più mi raccolgo.
S'indovina una falsità di quiete
e un muro farsi ombra ed immateria
nel silenzio che non mi tramuta.
Se sia per una forma od un'altra poco importa,
se la soddisfazione langue
come limo di stagni e di paludi,
e muoio di voglie feroci
un supplizio di sensi inappagati.
E del mio essere uomo non resta che poco
nulla forse di fronte a più negazioni.

La terra ha bevuto a grandi sorsi le piogge
e l'autunno macera ore di buio sospeso.
La fonte primaria non è più quest'amore.

Non vi è ragione nella disattesa delusa d'un chiamo.
Sono solo come nessuno.
Superfluo alla terra e alle cose.
Alle nulle risate degli esseri umani: cui sono straniero.
Col capo reclino attendo rifarsi di stelle.
Notte per altre dimensioni in cui immergermi
a disperdere il mio dolore di uomo evitato.
Nuova rarefazione sulla quale riergermi.
Per restare comunque immutato.

Cercasti il buio


Cercasti il buio
nella fecondità amara del giorno.
E non più celasti l'incapacità d'amore.
Mi trattenga ancora un barlume di speranza dalla voglia d'abbandono.
Ed è una doglia come di materno afflato questo mio sentire.
Nulla ho dell'uomo da sempre conosciuto,
e ho sepolto in un passato visi cari e beni senza fine.
Sono le macerie delle foglie su questa strada di vento e di romori vaghi;
a segnare il rimorso mio d'impenitenza.
Cercasti il buio, mi domando dei tuoi occhi;
del tuo corpo dolce amaro che mi porge altro dolore:
Le mancanze.
Finita è la notte, e il tuo sogno mi riassale,
un sogno fermo in atto d'amore.
Eppure germini in me ancora semi di rancore
e crescite di male.
E non esiste un luogo ov'io non ti cerchi: morte.

Nei sensi l'anima è sola


Gelido amore
avendoti ti perdo a poco a poco.
Unione, ed è: lontananza.
D'anima più che di corpi,
di pensieri più che di voce.

E' così che mi riavvicino all'universo:
passando dalla tua vicinanza che mi distanzia.
Proprio all'apice del godimento
sono ancora più solo.
Stelle cime d'arbusti silenti
conferme di taciute parole.
Nel verde nel buio fatto di luna;
ridefiniti contorni di donna
ad accendere i sensi.

Siamo piante avvinghiate
radici espanse intricate
per un movente di carne.
L'anima è sola
nella soffusione di luce notturna.
Il luogo è una linea di spazio
conduce: infinito.
Tutto intorno e le tue mani:
è assenza di gioia.

A memoria di luoghi d'amanti


In tanti eremi ho lasciato: momenti.
Cose preziose firmamenti di fatui amori.
E ho abitato in nascondigli erbosi e boschivi
filtrando in me esperienze di carne donata.
Profumo che ognuna ha lasciato: un'intemperia
la pioggia in un istante regalato.
Luce di sole d'un giorno infinito.
Il tuo capo piegato m'aggiornava alla vita
strana vita percorsa da un malessere vago.
Sapevi d'aurora e d'insovvenute speranze.
Ci risvegliavamo dai sensi spremuti con amara sorpresa,
stupiti dall'immutabilità delle cose.
Quei luoghi sono restati: memorie.
Una lieve vergogna velava i sorrisi.
Sapevi d'amore.
La breve strada ci riportava
alle nostre due solitudini.
Vuoto fatto d'inutili cose
fino al prossimo abbraccio.

Quando aggiorna


Ora che aggiorna
con me reco rimpianti
di cose sconosciute e vaghe;
Ho dissipato beni e materia
ma non la mia essenza.
Così si fa incompleta la cercata felicità.

E' un luogo d'asfalto e cemento,
e non basta a soddisfare un bisogno
e più d'un ambire mi penetra anima e mente.
Effimera gloria che cerco
sa di gemme e giardini,
di ville assolate di pazze risate;
sa di donne perdute e mai ritrovate
nell'abisso nell'ansia strenua di possederne
senza sosta né remora alcuna.

Ma aggiorna, e dopo il vago notturno
a far altro mondo di uomini e cose;
come un eterno ritorno è la mia solitudine e scende
rivolo d'acqua perenne
come un pianto fermo sulla mia condizione di uomo.
Qui finisce una terra stellata
confusa nel suono;
qui mi dilaniano viscere
angoscia eterno abbandono.

Incise nella memoria del giorno


Notte senza né tregua né stasi;
disalberga da me.
Mi chiedo:
ove sosta la mente provata da sillabe d'ieri
pronunciate da labbra amate
incise nella memoria del giorno?

I voli d'inerzie scosse e palesi
s'inoltrano fra cieli solo sperati;
e non so dire se le mie membra
risuonino ancora del vibro acuto della passione
o se la mia è una deriva perenne
ove si desta per poco solo paura.

Eterna morte sempre presente,
ho amato giacendo con te
su un'erba soffice senza domani.

Verso case infinite


E' uno strepito d'astri
il silenzio della tua anima
che m'addolora.
E le cose inerti che ci circondano
non sanno del mio soffrire.
Sono battigie incupite, vaste vedute,
erte e salite irragionevoli: non più atte ad essere assurte.

Tutto è vano tranne il profumo
che mi lasciasti residuo su un lembo della mia vita.
Il passato con te non trascolora.
Un latrato nella canicola
mi riporta straziato al tempo ordinario.

Nel madore degli occhi
uno sguardo gettato lontano:
vie muriccioli oscuri anfratti.
Case infinite ad arrivare alla tua.

Esilio di mattoni e pietre
ove si frantuma un agonia d'un amore.
Alberi e spazi.
E gli altri dolori sono cose che ignoro
ma avverto deserto,
spenta luce di cieli
troppo tardi avverati.

Atto alla terra


Sono atto alla terra,
ma vissuto in disparte
separato da cose e persone.
Riproduco pensieri,
fatico d'amore,
tristezza che dentro m'avvolge.

E il dono che ti feci della mia carne
s'è consumato in più d'un sospiro.
Sguardo di gemme accese;
breve fiato di dolore che manca.
Aspetto da una vita
una vita che m'appaghi di soddisfazioni.

Rinasco per poco a una terra
e la tua sono giardini insoluti
ove più non entrare.

Sapeva di prodigio l'avverarsi d'un desiderio
ed io carezzavo l'inconcesso
che anche una volta, a me si concedeva.
Provvida ora irrefrenabile
vinta dai baci. Proibiti.
Dai sensi confusi dai nostri sguardi smarriti.

Non tocco ora la terra che sa di addii conclamati;
l'erba soffice me ne divide,
e assapora d'aeree stagioni odorose danzanti.
Un vento depriva in me nuovi pensieri.
Tutto questo fa di me una forma vivente
che vita in se' poco o più non converte.
Culla beato un sonno rifugiatore;
l'eterna mancanza d'amore.
Il nulla è la terra ove tu mi cercasti.

Sulla mia stasi d'inerzia


Credo d'esser vinto come sempre.
E tua è l'immagine
che nel corso della sera mi perseguita.
E non voglio esser vinto, e da te:
nessuna voce nessun suono.
Sconfitta d'anima d'uomo
saccheggiato d'amore.

Scompari ancora nel vuoto che lasci
nell'inerzia di giorni conclamati ai ricordi.
E non più un cancello, una siepe
mi separano dall'attesa unione delle carni.
Ma ombra e tempo senza fine di tempo;
ove macero aspettazioni senza speranza.
E' adesso che l'amore brucia desideri e ricordi
e fa dell'anima una scorza dura e tremante
ancor vincolata alla terra.
I tuoi occhi troneggiano sulla mia stasi d'inerzia
sete d'un corpo agro che manca.

Forma di tedio ed insidie (Inno)


E' carne viva scoperta questo dolore (rimpianto eutanasia pentimento)
La primizia della natura
era il dono del tuo corpo, magro alla vita.
Forma di tedio
espressione d'amarezze e discordie.

Un torpore soporifero ti destava, (rifiuto estasi obnubilazione);
e pronta al bacio uscito dal sonno ti ergevi (un insidia).
Velatura di sguardo (possessioni invincibili saturazioni sgomento);
Aria residua ai sospiri quasi mutava in vapori.
Accordo perfetto di due corpi finalmente alleviati.
In un residuo d'ombra ti movevi (una gemma)
per stupirmi ancora...
mia deriva d'amore circoscritta a uno spazio;
Il tuo verde fu un moto d'erbe e di luna (una dimora)
ov'io mi raccolsi.

Luogo d'esilio


Nel mio sguardo una vecchia casa cantoniera
abbandonata alla ferrovia.
Brevi percorsi di treni superstiti.
Ed oltre una foresta che infinisce in pineta d'oltre mare;
prima gli orizzonti, prima!
E in fondo si arriva se non con l'immaginazione.

Ed è spazio che dilaga
e la mia noia spacca porte e cose,
alimenta rabbie antiche,
non addomestica intride,
s'acqquatta come una gatta
silenziosa e furtiva nella mia anima.

Non possiedo chiarezza d'intenti,
e tu muti come tutte le cose e non t'avvedi.
Nel mio procedere in cercare fra torrenti e rogge
d'aridi rocciosi gole montane
e fossati, antichi greti;
verdezze, grano di campi estesi
cascinali abbandonati e cheti;
ove sprofondare nei pensieri e in nostalgie inerti
accarezzarmi l'anima.
E tu unico amore che muti dentro,
m'addolori!

E incursioni in un ieri che resta,
svuotato di presenze e d'annullati desideri.
E fatto eremo il mio dentro
attendo un luogo d'esilio che m'accolga.

Il passo


Una griglia di finestra antica
bassa sulla strada,
ce n'è tante nella città millenaria.
Contano i miei passi.

Brevi arcipelaghi d'ombre
mi deludono a ricerca d'una luce
e rive oscure i marciapiedi (smossi selci)
sono come lapidi ove s'è cancellato il nome.

Passi dei vivi, illusione che la creta duri
plasmazione perenne degli intenti
ignoto struggere mi richiama a una presenza
che tace in suono di parole.
E il mio bisogno d'un vero chiamo si fa vano.
E resta.
E' una vita di suppliche e preghiere
fra i peccati di cari vagabondaggi senza misericordia.

E venne la donna


E venne la donna
cara giovinezza già lontana;
era tardi.

Venne col suo raro sorriso dorato
a fare di tenebra luce.
Ed è fra mura silenti e e segreti sospiri
che aggiunto un tassello d'amore alla mia vita di eremo
ho creduto l'istante durevole.
E venne con la sua bocca l'acredine ostile,
d'inevitato abbandono;
con le sue membra la gioia della spossatezza.

Un silenzio dell'erbe bagnate di pioggia,
una selva mirata circoscritta alle notti.
E frusto cielo d'inverno a dividere fra i tetti le stelle.
Ebbi la sua mano asciutta affusolata
e mi parve una consacrazione.
Patisco esilio del cuore
parvenze di dileguazione.
Ora non dura che assenza:
un altro sigillo dell'anima.

Germinazione


Rigermini dentro
rinasci, sei statica: indelimitata.
Una forma di numerazioni e colori.
Un letto e due mobili
nella calma fusione dei corpi.
Ti sono nel chiuso di palpebre
a rifare gesto del sonno;
dopo l'amore dopo il bisogno dell'estasi che ci smemoria.
Sei ancora fervida ma non ti tocco;
ostica ostinata brevidischiusa;
allucinio d'una carezza, una brama decisa inelusa.
Accoglimento d'ansiosa gioia, in me tremi:
fomentatrice. Immaginazione, sei negazione;
un cespuglio di buio e di luna,
ove in pensiero aggiro la mia solitudine.
Estensione dolore d'assenza.

Speranza in cieli aperti


I giorni, cumuli di macerie;
le ore, stille ricadute.
Qualcuno risillaba i miei nomi;
la vastità ritira in sé, paga del già visto.

E' in me che mutano le cose e le visioni
e le mie mani già non afferrano più cieli.
A rarefarsi s'avvicendano emozioni,
e non stupisce brezza sulle guance rase;
e tutto è estenuazione.
M'aggrigio!

Mi spengo vivendo e resto algido.
Muta sofferenza come grido senza suono per chi
non sa più pronunciare amore.
Mi narro ancora di nudità e vergogne,
ridde di sogni inconsapevoli;
indurevoli peccati già sofferti
a intridere in me speranza residua di vissuto.

E' di là da venire
rinascita senza dolore
speranza in cieli aperti.

Dono d'immagini e parole


Silente sidereo spazio
mi trovo senza tema di ragioni.
L'osservare mi tramuta.
E' il mio nulla.
Inconsapevolezze luce inarrestabile
sradicato da ogni terra
un solo tetto: firmamento.

Una tranquillità di foglie ed alberi
mi dà sopportazione
e forse il dono tuo d'immagini e parole.
E tremendamente sono solo,
un solo ordito, e celata e sopra: l'infinito.
Senza dimore la mia anima riversa, la stanchezza;
sotto un cumulo d'astri e notti, un grido
a romprere il silenzio, un laccio d'amara tenerezza.

Fatica d'amore, memoria di morte
affaccia una sola in milioni d'altre vite.
Un nodo in gola forma
il tacito coro degli affetti
ed io m'umilio ancora
consapevole della mia pochezza.

Resto nudo a disvelare la mia angoscia;
ebbro di stelle cerco oblìi esenti da memorie;
così vivo il mio tempo senza nome.

Scempio di bellezze e luoghi


Mi pesa il luogo che sogno e che non conosco.
Non mi giova una vita;
non penetro essenze di terra,
ma è un richiamo d'adori e sensazioni
che macero fra i sassi e le zolle.
E il sole nuovo mi promette entusiasmi
di fatica ed estenuazione.

Come portarti in un pellegrinaggio
in ricerca a dividerci qualche felicità nascosta.
Amaro esilio questa terra che mi emargina e rifiuta;
asprezze di carne vissuta, ove fitto dentro;
ancora 1'ultimo tuo sguardo
e l'urlo d'addio mi rimemoria.

Scempio di bellezze e luoghi
che al passar più non afferro
stupore d'astri che solo per poco mi riamora,
e cercare ancora non mi riconverte,
mi smemora e satura.
E questa luce quasi primigenia
m'agogna a nuove realtà
che a malapena riconosco.

Scempio di bellezze e luoghi


Mi pesa il luogo che sogno e che non conosco.
Non mi giova una vita;
non penetro essenze di terra,
ma è un richiamo d'adori e sensazioni
che macero fra i sassi e le zolle.
E il sole nuovo mi promette entusiasmi
di fatica ed estenuazione.

Come portarti in un pellegrinaggio
in ricerca a dividerci qualche felicità nascosta.
Amaro esilio questa terra che mi emargina e rifiuta;
asprezze di carne vissuta, ove fitto dentro;
ancora 1'ultimo tuo sguardo
e l'urlo d'addio mi rimemoria.

Scempio di bellezze e luoghi
che al passar più non afferro
stupore d'astri che solo per poco mi riamora,
e cercare ancora non mi riconverte,
mi smemora e satura.
E questa luce quasi primigenia
m'agogna a nuove realtà
che a malapena riconosco.

Ora fatichiamo una vita


Infinita pare una riva lontana,
dai nostri passi di amici sperduti nel giorno.
E la nebulosa luce del mezzo pomeriggio
aggrigia terre e spazi
muta espressioni e sparpaglia viandanti.

Ed ogni ora ci trova appesi a un ricordo
a immagini e parole rinate nel dentro.
Un viso di donna deve regnare per forza
in cima ai pensieri.

Ma non è sempre la stessa,
si è amato perdendoci
ed ora fatichiamo una vita senza motivazioni.
E che qualcuno ti sia in alleviare è cosa rara;
e che quel cercasti nel mistero di notti e di giorni,
che rese giovinezza un incanto di cose e sensazioni
è svanito nella disillusione.

Su queste rive, su questi passi
si lascia avanzando: emozione
ci prepariamo nostro malgrado
povere anime
alla grande insondata questione.

Giacere sdraiato a sognare


Giacere sdraiato a sognare
dormire è meglio
in questo sperduto giaciglio
per non ricordare che vaghe ombre
vaghe memorie.

Il sogno mette ansia e paura,
quasi a fiato levare
rende vere le angosce
rende cupo terrore.
Poi tutto cambia, volge al meglio
svanisce dolore.
Al risveglio vago sentore di spazi remoti
brulichii della mente, suoni del fuori,
ove l'erbe odorose di pioggia d'aprile
apriranno ancor primavere.

Mi sentirò scontato, ripetuto forse,
riconfermato.
Per non aver pace in pensieri
per coltivare ossessioni
rotti giocattoli rotte ambizioni.
Per divagare d'amore,
che è fremito d'attimi già delusi da sempre.

Diffonderò le mie lacrime,
mi confonderò fra spazi di luce:
unirò alla tua la mia voce.

Qui mi dolgo delle mie mistificazioni


I monti giacciono perenni
in attesa perenne, sospesa.
Dall'aria un osservare celato.
Forme d'un irrassegnazione.
Entità primigenia ricerca brezze
di venti superstiti a ricordare la morte.

Nel verde assetato di piogge;
ammanto di brine, orme di passi sull'erbe violate
dal cammino insensato degli uomini.
Qui mi dolgo delle mie mistificazioni
e m'accoglie un terreno peccato
per invocare ancora perdono.

Dove lasci inutile giorno


Dove lasci, inutile giorno
le tue essenze fumose, le nebbie (aperti spazi ricordi abbandoni)
sulle sabbie marine (battigie d'alghe e conchiglie)
o sul ciglio del lago
ove ondeggiano canneti
al moversi d'anatre e starne.

Anche lì mi sei peso e nostalgia
indecifrati affetti mutano in mente
pensiero d'ombre e galassie;
da qui a un'altra foce (inganni disillusioni sgomenti)
e pace non trovo se non nel chiuso me stesso
celandomi a luci e suoni
che ancora m'umiliano chino...

Spalancandomi a cieli che poi fuggirò
nella dolenza del vago procedere (moti superstiti offese umiliazioni)
nella fumosità come d'ectoplasma
vivrò questi giorni di dolorose memorie
accertamenti d'un anima inquieta
che in stasi cerca e disamora (utopia del sacro dubbio senso di colpa)
e sangue versato agli ascolti
e tese mani a cercare altre mani di lieve concordia.

Tu darai forza e terrore al mio essere uomo,
specchio d'occhi della divinità che m'osserva
ed io ti amerò come ora ti amo,
nell'unico modo che ancora conosco.

Cosi lasci inutile giorno
una risacca uno stormire d'alberi,
un sottofondo di suono
e un tacere cercato aldilà di voci e ragioni (inutilità vessazione amarezza).
M'umilio...
E cerco un angolo che fuori dal mondo
mi dia una speranza d'esilio
una fonte d'amara dolcezza.

domenica 8 luglio 2012

La giara chiusa


Il tuo segreto interiore è come una giare chiusa,
antica, pur se per molta parte palese,
intraveduta coi sensi invisibili;
ti fa esclusa dalla vita usuale.
Ciò che celi dietro il tuo male mentale
ti rende sola. Aliena
a chi di te s’innamora.
Ininterrotta la querela perenne,
si riecheggia di parole subite
e di scene vissute.
Non valeva la pena, bastava viversi
con breve gioia in acquisizione.
Padroni dei corpi in amore,
non paventare sempre nuove intenzioni,
minacce sottintese, appigli di falsa ragione.
I sensi nascenti volevano viversi appieno
nelle tue irrivelazioni, invece hai voluto distruggere.
In quella giara chiusa c'è la nostra passata
passione sfrenata, e la mia voglia insopita.
Tu chiusa per me inavverata.
Una storia d'amore ormai sigillata.

Filtrazione


Filtraggio di luce,
l'ora meridiana immota e ferma
trasale di se nel timore.
Labile vento di terrore acquisito
è un momento, mi volgo su abissi di ghiaccio,
tremo all'eterno passare,
la sperata valicazione è solo utopia.
Resto circoscritto all'agguato prestabilito.
Non si fugge, non c'è dato;
e allora si ripiega su amore.
ti contorce anima e viscere,
ancor prima di nascere e crescere.
Così ti ritrovi a pensare a pietraie
di montagne assolate,
a rive desolate, a parole riecheggiate
nei vortici d'aria,
perdute poi nelle sconfinazioni cercate.
La luce è un agglomero d'astri,
insovvenuti nel giorno chiarificato,
pulviscoli di stelle di materia primaria
siderea e senza misura.
Ho veduto in quegl'occhi i tuoi occhi,
cosi sconfinai la mia ragione di credere
nell'enigma insoluto del desiderio invincibile.
La luce é, onnipresente: l'addio.

Il fiume perenne


Alla foce estuario si snoda senza tregua,
in anse di fiume perenne,
e precipita in bolgia di cascate lontane,
per tornare all'origine.

Quel fragore si declina in confuso sciacquio
e i dichini precordi dell'io
manifestano in pensieri stremati.
L'origine si perde nelle pieghe del tempo,
e dalla pulsione primaria,
come fiumi d'acque insepolte,
si ricreano terre di sangue
a dar forma all'umano.

Ma non si svela il mistero
e lo scroscio fra schiume e vapori
ricade perenne insondato,
presente inacquisito;
come i miei pensieri irrassegnati
ed i tuoi:
ch'io non ho mai compreso.

L'affluente va ad unificarsi
e li stormi alti in migrazione,
fanno coro ai gridi dei dispersi gabbiani.

E non esistono sponde atte alla gioia.

Il nuovo astro


Apparizione d'astro acceso.
Lo sguardo mio s'interroga, rimira vasti spazi.
Terso cielo dell'agosto,
tramonto rosso-azzurro;
e unico a brillare, prima d'altre stelle:
il nuovo pianeta avvicinato.
Così mi pare anche questa terra,
cambiare condizione e tramutare,
da uno stato all'altro: evoluzione.
L'astro sottende all'anticipazione,
di altri eventi immaginati ora.
E' fulgido, è sospeso in vasto nulla
muta forma pare all'occhio nudo,
poi al più attento rimirar si ridisegna.
Pare che stia ad osservare,
e l'aria come pregna d'un mistero,
che non si sa spiegare.
Ho guardato luci ed astri da che nacqui;
e ancora annaspo in cerca di capire.

Efebica - 2010


Ti dorme negli occhi,
una quiete senza gioia.
Efebica, Ariana, m'inascolti.

Preso dalla tua figura,
dimentico i passaggi più sicuri, insepolti.
Un alone riflesso da fessure,
forse luna, ti ridelinea in insieme.

Viso di guazza estiva e di rugiada.
E' moltiplicato il mio silenzio ora che dormi.
Sprofondano i pensieri miei,
nei tuoi capelli.
E fuori, tace il tuo giardino,
addormentato anch'esso nelle ombre.

Efebica e pur senza tempo
mi appoggio con il capo alla tua spalla
e m'empio del tuo odore dolce e greve.
Qui i mattini disabitano la terra,
è la tua stanza, e pare una notte eterna..

Dopo tanto possederti è amore ancora e più di prima.
E le stelle immote a figurare solitudini;
come le nostre, avvicinate equidistanti,
ristanno come sempre,
come questo sonno tuo di palpebre allungate
ch'io contemplo, come queste piante buie,
allontanate, le foglie.

E pur se è già finita e disarderà
quel fuoco che ci accolse amanti so
che tu sei parte eterna della mia sostanza.
Disadorna è la mia voglia nel tuo sonno.
Ma senza colpa, attenderò il tuo corpo
di vapori che si desta.

Ceneri d'oblio - 2010


Effulgenza è questo sole
in aperti spazi smisurati
incalcolati orizzonti.

Cerco luoghi solitari
Pietraie, arene arginate,
saline oltremare;
boschi di pioppi o di abeti
ove i rumori di vita ordinaria,
rigiungono all'udizione,
come pollini di suono sommesso.
o forse anche nulla.

Sento di più odorare aspre resine,
esiguo fuoco verde insovvenuto,
della natura in fermento.

Le vigne, mature, come i miei pensieri
esacerbati d'assenza eterna.
Nei luoghi si rià la mia anima,
mai paga del nuovo.
Ed anela a freschezze fugaci,
a percorsi di terre rinnovate agli adii.

Ed intorno nella luce che dilegua
dal silenzio, si ripresenta solo poco fa
cacciato via a fatica: quel senso di morte.

E prepara nello strazio di procedere,
l'essere mio.
E della terra si trasforma
la materia che conosco in future
ceneri d'oblio.

Rive e terre - 2010


Superstite accesa ancòra,
inassolata nelle venute di piogge:
rive e terre.

Assenti i desideri irricordano sensazioni perdute.
Ove voce nasce a nuovo
ma l'antico mai declina.

Testa china fra mani che non hanno saputo trattenere:
né afferrare.
E la luna si disvela a tratti,
e fa di luce nube nera prima insovvenuta,
e accende sogni imperscrutabili
anelazioni d'un altrove.

Ed è la notte la risacca d'astri accesi
si disgela quel chiarore.
E nella notte il sangue della terra
perde ogni calore.

Avverto brividi di tenerezza insostanziale,
al male universale,
e disbrigo l'ennesimo tramonto,
come se oltre quelle nere nubi multiformi
all'orizzonte accumulate,
celassero qualcos'altro da scoprire.

Fruirò dell'ordine cercato invano nell'anima mia,
a ripristinare ciò che è sbaglio
e non m'aggrada.
Ormai non più vi è acquisizione,
così lascio pezzi di me stesso sulla strada.

E un'altro male a maledire; è l'irrisione.

La Trama (resto afflitto dalla luce del giorno) - 2010


Resto afflitto dalla luce del giorno,
commedia senza trama contigua.
Il passare è un'onda ogni istante remota
e le cose sbiadiscono nei passaggi d'aurore.

Disgenera il tempo stesso le creature
e m'ignora l'altrui presenza,
come fanno gli alberi, le acque sorgive e gli uccelli,
le stelle forse.

Ed è giusto, nell'indifferenza prestabilita della creazione;
o così pare; ma non per me.
Io anelo squisita compartecipazione,
e tramuto doli e delusioni
in speranze acquisite.

Come inerti su spiagge, relitti e fossili di mare arenati,
m'appaiono i miei desideri;
ed entusiasmi verdi riarsi dalla sete inestinguibile
al pensiero che sia gioia solo il raggiungimento.

Cosi tramuto l'amore in eventi di luna
e deserti più che smisurati:
e tutte le fibre del mio corpo mortale in emozione di lacrime.

Nello strazio so amare, non nella gioia,
nell'eterno timore so amare, e vieppiù,
come bestia languida che non sa mai sorridere.

Ma porto te in altri luoghi, fatti di sublimi rarefazioni.
Al di là del comune sentire, delle umane irragioni.
E affondo le mani, strinte alla tue,
in nebulosi abissi di spazio e materia,
ov'accompagna eterna speranza, senza speranza.