giovedì 9 dicembre 2010

Il libro completo "L'oscura vita di Amedeo"

Disponibile il mio libro "L'oscura vita di Amedeo"
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domenica 3 ottobre 2010

Altari del silenzio - 1989


Altari scrostati per le nostre preghiere,
a volte altro non sono che mattoni sbiaditi di povere case.
E noi inginocchiati a chiedere, a supplicare,
ancora e poi ancora; senza più pace.
Altari che sanno ascoltare,
e in fondo a essi intravedo nell'ombra
la figura senza tempo d'un sacerdote,
che testimone fra due mondi:
mi guarda in silenzio pregare.
Distanti si perdono lievi fruscii,
fra il pudore e il celarsi di chi si vuol confessare.
Emozioni confuse, bisogno di lacrime o forse è pentimento;
mi chiedo la ragione al sussistere
il suo eterno lamento
sento il sacro filtrare dai colorì irreali dei vetri di chiesa,
quasi pervade il mio dentro.
Poi un colpo di tosse, accanto ad una eco di passi:
ritorno al reale.
Ho domande senza risposta da sempre,
e non più la forza di chiedere.
Non comprendo il mio ruolo
né questo mio vivere perduto dietro un sogno ormai spezzato.
Mi resta la fede il tempo sempre contato
il mio caparbio credere.
Malgrado tutto non so vivere con innanzi l'incerto,
conosco ora solo il nulla che avverto.
Scorgo solo altari scrostati e vuoti
nel canto amico di questo eterno silenzio.

Seconda classificata al premio nazionale "Riva Lucchesi"

Il giorno


Il giorno appare, vola veloce, dispare; nell'effimero buio.
E ci si appresta alle cose,
se non quando è già troppo tardi;
ed il tempo non è mai quello giusto,
e si resta inconclusi nel fare.
Il giorno convulsamente vive, si riempie di suoni e romori;
stride, alle cose disarmonizzate, ride dell'irrisoluzione d'ognuno,
scompiglia d'ogni uomo i pensieri
e passa su noi immergendoci perlopiù nell'ieri.
Che sempre è giorno, che sempre è egli stesso ad ogni nuovo ritorno.
Il giorno acceso di fulgido sole,
il giorno che vince su qualsiasi bisogno;
come delle brame innumeri d'ognuno: prima fra tutte l'amore.
Si vive da svegli ma come in sogno.
Passa in un ricordo sbiadito, in un sorriso svanito,
in un sentimento antico che fu.
Passa il giorno e passi tu, che chiamai carezze al mio cuore.
Passa come sguardo al cielo su mani protese,
fra le rabbie che ci fanno pensare;
a volte abbandonati perfino da un impeto assoluto di fede.
Giorno, v’è qualcosa o qualcuno che dall'alto ci vede: ma tace.
Ma io anelo a certezze, anche dall'invisibile;
poiché m’intride di tedio, la terra e la mia solitudine,
ogni consuetudine,
che non fa più per me.
M'assale la mancanza come di qualcosa, e quella di te.
Che svanisci nel buio della notte,
come una, stella lontana,
come un giorno una settimana,
come una cara presenza
temporanea e forana.
Come un ennesimo giorno ove t'attendo; come in esso, con te vi attendo
il tramonto, la notte, l'evento amato muliebre, d'un nuovo raggio di luna.

Involuto distanziamento


Alla mia anima manca una rara dolcezza,
io sono solo ora nelle vastità della terra.
Nulla serve a porre consolazione, chiudere gli occhi, per non vedere durezza.
Aperti luoghi mi beano lo spirito,
e m'affondo in tramonti mai conosciuti.
Ma, alla mia anima manca quella rara dolcezza.
E dico che nulla sarà più come prima nel bene.
Quando il bene fu fanciullezza e carezze sicure, di puro amore dell'anima.

Ore di pace


Scorrono portate cose dall'acqua,
portate dal vento.
Scorrono senza un rimpianto, senza un lamento.
Ora che la vita approssimando se stessa finisce,
ora che ogni amore uccidendo se stesso, perisce.
Scorrono lente le ore, le ore di pace; le ore di guerra, le ore di sale.
Scorrono lacrime: pianto di te.
Scorrono cose, oggetti e astrazioni del mondo.
Scorrono vite e voci, e rumori e sommosse.
Poi nel tempo che scorre tutto si tace rintocchi di ore lente, le ore di pace.
Tutto finisce e morendo scorre nel vuoto,
vuoto che tace; silenzio! Suono di morte,
si placa anche l'ultima inesorabile voce.

Elusione


Vengo da un ieri ineludibile,
come strascico di veste inutile aggrega i miei passi e mai s'allontana;
non resta indietro perduto.
Vengo da un già vissuto futuro, dove l’inaccortezza
mi ha trascinato via dalla speranze dalle possibilità: cose distrutte.
Vengo da l'ora presente, una maschera che strascica anch'essa
già dietro di me, sogghigna come una passione mai spenta,
come l'insoluta inesattezza di questa mia vita.
E lascio percorsi di occhi e aliti ottusi di voci,
lascio le ombre di uomini, a pavoneggiarsi nell'aria del nulla;
ora che andando e venendo dentro e fuori di me ho presente la morte.
Vengo dalle risa ottuse e imbecilli delle non verità di chi non la conosce.

La via della luna


S'offusca la luna dietro le buie nubi

che la nascondono

a tratti lambendola;
in una parvenza di luce e scomparizione alla vista.
Ricordo la luna d'ieri, l'antica speranza avvolta dagli astri;
quasi padroni.
Ricordo, più d'un amore rapito dalle foschie di novembre;
quando esisteva nel profondo,
un alone lucente di gioia.
S'offusca la luna, queste nubi, dimore d'arcano,
l'avvolgono in creduta nebbia;
in una parvenza di temporale che atteso: verrà!
Ricordo la luna dei miei stupori fanciulli, del me sconosciuto;
i sogni futuri all'esistere, allora signori dell'anima;
per l'amore che nel futuro; non avrei avuto mai.
Ricordo, la mia casa ora mancante d'alcune voci: quello era amore.
Ora m'aggrappo a quelle che restando mi chiamano per nome;
ma come sempre mi sfugge; l'amore,
dietro nascoste nuove speranze:
ed in gesti fermati ad un istante di rara amarezza, s'affaccia: la morte.
Ma non ho più sogni, ho solo famiglia d'origine;
e come per gli altri;
resto a loro uno sconosciuto;
escluso allora m'apparto
per non disturbare la vita, che scorre, che scorre.....
Gioca ancora con me come ieri la luna;
e s'offusca alle tarde nubi,
come sui miei già tardi anni, e le cure e gli affanni che hanno seguito.
Ricordo: la toccai con un gesto soave e solenne del dito;
e adulto innocente, nell'oggi ritrovai l'infinito.

Riflessi di psiche (aridità) - 1994


Risplende d'attonita luce, il meriggio autunnale; ove regna l'arcano.
Risplende, ed io mi ritrovo
accostato ai ricordi,
e a bramosie del futuro.
In accordo con l'anima,
cerco fra mura e vedute di cose;
ciò che sento mancarmi.

Infecondo e vigliacco, amaro involucro già vecchio;
amante allo specchio, d'una somiglianza.
Fra fronde e verde natura boschiva; mi taccio: silenzi.
Risplende ed odora quest'aria, è novembre;
mese di cose già morte e sepolte.

Ho ottenebrato antichi pensieri, per soluzioni di lacrime.
Mi vedo in chiarezza, onda che non s'infrange;
uomo falso che prega, che piange;
al lamento gemente, lanciato a DIO; che su me rifrange.

Risplende la mia sterilità,
che nacque con me, per la mia smania di vita verde;
poi imprigionata da eventi, e tacque. Su te.
Poi viene la sera, e come sempre, mendico amore,
frugando in un cesto d'ottuse amarezze, di gioie mai trovate, mai vissute;
ombre lievi d'un domani che muore, ridendo silente; nel nulla;
d'una visione sfumata d'assenza di carezze perdute.

Transfert


Mi alzavo, risvegliavano i residui di sogni,
vaghi pensieri di cose del vivere.
Pensavo a scogliere impraticate, idee d'un mare che poco conosco.
E il risveglio cittadino nella pioggia senza rumore,
mi ripercuoteva nell'anima l'assenza dell'agognato amore.
Rimettevo insieme a fatica, pezzi di abitudini consolidate.
Foschi gioghi dell'inerzia.

Nullitudine


Nel rivolo salso, una lacrima di neve s'attarda
Io non mi mescolo al turbinio
fatto d'abbracci falsi e loschi affaracci dell'umana specie.
Inutile si leva di lontano un'altra voce;
fra poco annotterà, e la luna piena se ci sarà;
regnerà ancora sul taciuto frastuono dell'odierna moltitudine;
che si addormenterà.
Il freddo ora spazza le riviere; avvolge le pianure.
Tutto si perde, o solo pare; in una totale nullità
nella confusa similitudine.

L'inerzia


Nel mio fisso tormento,
sì lieve od intenso, secondo i momenti; ed i giorni:
Io m'attardo nel mio nemmen voluto perdere tempo.
E l'unico suono è dentro, il mio fisso lamento.
Mi mancano cose da concludere, che concluse non sono mai,
per quanto io faccia.
E m'intride quel senso d'amore che pur vivendolo appieno: mi manca.
E mi sveglio con la mia faccia stanca,
col senso perenne dell'ora fatale, il terrore suo;
quel tormento instancabile riprende, è solo mio.
Intanto fuori, le sommosse degli umani, mai provi e stanchi del loro cercare;
non soffermano, non osservano, nulla paiono sapere dello spirito loro;
dell'occulto mistero, del contemplare.
Ma regna la tristezza indefinita, quel navigare in un altro mare.
Quel non amore che a tratti si rivela, si palesa e pare "sia";
poi nella sua nostalgia repentino va a riscomparire.
E tutto è una mancanza, nell'inerzia obbligata quasi,
che ora sembra costrizione e debito finito mai di pagare:
Tutto quel tutto par trascolorare.

Il cascinale - 2009


Sognavo ancora una casa abbandonata,
immersa nel verde ignoto e fermo.
Diroccata forse, senza tetto senza porte,
dove tu mi regaleresti estreme sensazioni.
dove i fiati e i batticuori ,
si impossessassero per un istante lungo delle nostre vite.
Fuori la terra verde e l'immensità della natura multiforme,
si perdevano in un'assolazione di luce indicibile.
Dinnanzi a noi si protendeva allora, un'eternità senza spiegazione.
E i romori della natura vasta a noi, all'intorno;
a far da sfondo ad un silenzio
senza fine.
I sensi già infiammati pareano clamori,
forse l'amore non è che questa dolce negazione di se stesso,
questa terrificante nostalgia,
del sapersi inesorabilmente disuniti.
L'abbraccio perdurava nella consapevolezza del distacco che s'approssimava; dentro lui; fra noi, vibrava un preciso e certo senso dato al vivere.
II dopo ci avrebbe disilluso ancora.
Guardammo fuori, avvertimmo solo il senso ignoto delle cose;
l'assordante suono delle nostre anime mute.

L'alternante rivelazione


Mi volgevo ancora una volta al sacro senso celato.
Mi rivolgevo al padrone di tutto il creato.
Ero stanco di essere disperato.
In ogni fibra avvertivo la vita cosi tenace, caparbia a volte;
e forte; come una sconfitta una cosa da sempre finita,
un pensiero di morte.
Quel senso però trapelava il sacro, tra le ombre e la luce affacciava
dopo tanto tempo senza: io lo rivedeva.
Ma restava inafferrato.
Era come una voce che parlava al silenzio, e pervadeva il mio dentro.
Era come una carezza irrivelata sull'anima che testé si placava.
Era il conforto da ogni paura, da ogni sgomento.
Poi come in un momento dispariva, si ricelava.
Ed io restavo li in attesa a contemplare la natura che mi circondava;
fino a che non sarebbe riapparsa di nuovo la disvelazione.
Prossimo affacciarsi di luce a penetrar le mie tenebre terrene,
ogni mia fosca passione, la mia atavica disperazione.

Dare e ricevere


Smisuratamente

ho tanto da dare, e mi aspetto ricevere.
Non per doglia o per tedio, per il languore quasi fermo
di queste giornate
ma per amore.
Altrimenti a regnare incontrastati sarebbero solo i pensieri,
silenziosi torturatori dell'anima.
E così, se accade; più do e più vorrei dare;
e mi aspetto però in contralto ricevere.
Ma quel senso che dei sensi è padrone,
come del sentimento, pare non avere mai fine… dentro.
E nuove speranze esagerate, sensualità e voglie inaudite;
avvolgono il segreto di quelle quasi inconfessate.
Ma è soltanto senso d'amore; ci fa piena la vita:
la sua breve gioia,
il suo lungo dolore.

mercoledì 29 settembre 2010

Gli oggetti


Come sono belli gli oggetti,
si prestano al piacere della contemplazione.
Ho cari gli oggetti del mondo: vari.
Infiniti, come appaiono tutte le cose.
Sono fatti da DIO; poiché fatti dall'uomo.
Possiedono un colore,
a volte un odore, altre un suono.
Eludono per un poco allo sguardo la generale paura,
la nostalgia della vita, il dolore dell'abbandono.
Sono cari gli oggetti che amiamo,
eterni appaiono a noi, che a tutte le cose viventi e non: ci aggrappiamo.
Amiamo sempre amiamo, le creature, le cose, noi; noi che ce ne andiamo…

Il torrente


Scorreva il torrente; placido e mesto; mentre noi due seguitavamo a dolerci,
Mutavamo in volerci.
Oggi non è più come ieri, quando giuravamo d'amarci.
E cambiano le cose, gli sguardi,
ora che il nostro amore non è più fatto nemmen di parole,
ora che la tua pelle non è più fra le mie carezze:
una strada che m'inebriava la vita, ora è finita.
E mi pare d'aggirarmi dentro ad una prigione senza confini.
Oltre ci sei tu, con la tua, anch'essa quasi infinita,
ma circoscritta e chiusa.
Isolata la vita; per non vivere amore.
Intanto scorre ancora il torrente,
e muta il dolore in continuo fragore; ma è lo stesso suono e non cessa.
Dentro vi è lo strazio inutile d'una gioia che fu troppo grande:
poi di forza repressa.
E ci aspetta una sconosciuta domanda,
che non sappiamo ancor formulare,
il vuoto e l'abisso avvertito ora, non è altro che attesa d'amore.

Come Neruda


Tu
Non più ricordi forse ora,
le vette montane fra gli occhi nostri ed il cielo,
che insieme contemplavamo da sopra una altura.
Insieme! Eravamo insieme; come tu sempre dicevi.
Amavi dire quella parola!

Tu
non più ricordi l'automobile delle nostre scorribande notturne;
fatta di due - noi - che si bastavano, che inglobavano in se stessi;
il colore della notte, il luccichio delle stelle.
Io ti parlavo, come Neruda;
e pronunciavo
con le labbra a fil di voce il tuo nome.

Tu
più non ricordi quel gesto ovattato di dolce sale,
scintillato tra noi; come folgore accesa e imperitura.
Gracidavano le rane, cantavano i grilli,
tacevano della collinare campagna
a quell'ora lunare i sommessi mestieri della vita dell'uomo.
Io ti ero un po' tutto; padre, madre, fratello e maestro;
volevo esserti invece soprattutto amante.
Assaporavo i tuoi aromi
con l'essenza notturna della natura che si risvegliava alla primavera.

Tu
più non ricordi le luci distanti, fra le nostre dita; per gioco
afferrate da quella altura;
con l'amore per la fantasia.
Il mio abbraccio era luce scaturita dal bene sempre illuminato
come le stelle di quelle notti.
Forsennati ed insonni abbaiavano alcuni cani lontano,
fra i casolari e le messi appena sbocciate.
Insonne ero io.
Anche dopo averti riportato alla tua casa;
io che arginavo la piena nel mio cuore,
dell'amore per te.

Tu
più non ricordi, ma si sa;
i ricordi sono di chi è già abbastanza vecchio per coltivarli.
Ed ho così seminato le tue movenze e le tue parole,
nei terreni della mia angusta anima.
Ed anche io poeta, ed anche io esanime
di vita succhiata dalla tua
bocca nascosta e mentitrice,
ho creato - come Neruda - versi di bene
e di carnalità sempre nascente.

Tu
più non ricordi le antiche chiese dormienti alla notte,
magica e senza affanni: solo nostra;
gli antri bui, le parole che ci compenetravano.
Ma io sì, io ricordo tutto:
ogni istante
ogni pezzo di strada,
ogni ora passata accanto al tuo amore dolente
e avvicendato alle poche speranze.

Tu
più non ricordi che una notte - una di quelle notti -
ti ho preso per mano e ti ho - giovane anima - presentato alla vita,
alla verità di esistere, al sacro e al profano,
al bene ed al male.

Tu
più non ricordi, ma ricordi certo,
di non avermi detto nemmeno una volta Ti amo.

Il male di essere figlio


Chi mi porta via le forze sei tu, malattia che non passa; male di figlio.
Amore che non ha soluzione, ed i corpi che vedo vivendo,
segnano l'approvazione o il disappunto che attendo tuo;
per poterli amare.
Ed eccomi schiavo d'un mero ideale,
schiavo per i lacci alla mente ed al cuore. Io senza amore.
Io schiacciato da qualcosa di eccelso,
che pare un impegno irrimediabile al quale io non so ottemperare.
Sofferente del male di essere figlio;
che non sa vivere lontano da te,
la sua sconosciuta realtà di vita, d'amore.
Restano le lacrime, la disperazione, la tentazione di farla finita.

Cosa accade


Che m'accade? Sosta inviene nella mia oceanica inquietudine;
si placa l'onda e al la marea.
Certezza d'altre cose, e mi sovvien la via infinita,
il dispiegato eterno,
la vaghezza nulla della mia nulla vita.
M'accade: il presagire, l'occulto mio avvertire;
che già sopra questa strada mi richiama e guida,
ed avanzando sempre più s'allontana
agli echi delle grida dell'esistenza vuota e vana,
come miraggio, fata morgana... alle mie spalle restano le cose che bramai.
M'accade ora che le lascio,
mi sovviene l'iniziare lento, del tempo del finire;
non senza sgomento, non senza un po' rabbrividire.
Malgrado la mia volontà che lotta contro,
vedo le mie passioni appassire; la verde età sparire,
la terra, fosca nuda terra madre: rabbuiare.

E' l'ora di capire: che m'accade?
Si sveglia l'anima dal sonno secolare,
immemore oramai d'eventi.
si sveglia l'intuire, la sacra voce universale,
come un riflesso irradiante
come un richiamo di luce di stella polare.
Ed il cielo si centuplica in visione,
e lascia a se stesso ciò che ha veduto nei millenni dell'ieri,
nell'eterna evoluzione.
Proprio come me, che m'accade d'intendere in un mistero una voce,
un qualche perché.
Che m'accade d'intraprender la via, che è strada del vero;
e che tace ora ogni vano suono e movimento del mio lungo passato.
La via, su cui io pur vivendo: sono rinato!

Specialmente la sera


Specialmente… la sera,
noie, tempi allungati, inattenzioni.
Specialmente… la sera,
silenzi, allontanati romori, vaghi e imprecisi,
che giungono attutiti dai meandri iperprotettivi delle pareti.
Specialmente... la sera,
irraggiungimenti, analisi dell'anima, giovinezze e credulità fuggite.
Amori lievi o pesi, annullati offesi
dalle intemperanze, dalle incomprensioni palesi.
Specialmente... la sera,
questo andare mio alla deriva;
senza approdi, per questa stanchezza, che naufraga con me
che resto solo da un tempo immemorabile;
nel silenzio ch'è eco d'una speranza sepolta... remota.
E’ ombra d'una stanza ormai vuota...
D'una luce accesa da mani sconosciute…
Sempre più fioca.

lunedì 27 settembre 2010

Potessi


Potessi quantificare tutto l'amor che ti porto;
non basterebbero estese pianure, né spazi infiniti di cielo;
per contenerlo.
Potessi dirti ogni minuto secondo quanto grande esso sia,
udresti all'istante il battito acceso del mio cuore,
potresti toccare quasi la mia felicità.
Perché sei amore; una direzione obbligatoria, una via che porta;
i miei passi al tuo odore,
una immemore memoria,
dalla gioia al dolore; eppoi di nuovo dal dolore alla gioia.
Potessi farti capire, questo mio desiderarti e non averti ora,
e provare ogni istante a morire,
per rinascere a una flebile speranza;
ad un tuo creduto arrivo fasullo, e poi di nuovo il silenzio:
per morire ancora.
Quanto è lunga la via del perdono,
ardua invece la femminea crudezza,
della donna verso l'uomo.
Potessi farti comprendere, come m'angustia quel suono:
La voce tua, la mia; in un passato prossimo e già lontano;
ove nell'anima, che per davvero avvertì, allora, la vita;
ci dicemmo mille volte, e mille ancora: ti amo.

Gli uccelli - 2009


Come in una lenta estenuazione,
procede il levarsi mattutino
come lo snodarsi d'una processione.
Guardo attraverso la finestra di cucina, in giardino.
L'erba tagliata appena ieri,
attrae miriadi di uccelli,
e corvi e merli, e passerotti,
il loro cercare girovagare
in cerca d'insetti, di pane piccoli pezzi;
mi rapisce e riplaca dalla rabbia del risveglio
che appare confuso alla mente;
ed elenca cose da fare, desideri da esaudire,
anch'io per cercare, annaspare, per risolver la vita.
Ma già dopo dieci minuti dall'uscita dal sonno, ci potrei ritornare
poiché non so come fare.
E nullo così si presenta il giorno ancor nuvoloso di pioggia sperata;
da affrontare, come una marcia forzata;
e farei conto se fosse possibile di poterlo barattare;
con cosa... chissà forse con le agognate esaudizioni,
con un po' di residua felicità.
Invece il tempo è noia dilagata.
Se fossi come quelli uccelli, ce l'avrei già,
ma l'uomo, perlopiù di mente malata,
è un essere fatto di complessità
e si aggira anch'esso,
si dibatte portato qua e là, senza un metodo e un ordine,
da miriadi d'ambizioni,
nefaste magari e forse irrealizzabili.
E i sogni e suoi desideri, non son mai veritieri,
né poco o nulla forieri di soddisfazioni.
Non sa come arrivare;
non gli basta come quelli uccelli,
semplicemente vivere, senza pensieri pensare, librarsi e decollare,
è forse malato d'inestinguibile amore mancante;
e il troppo sapere a volte è un bene che tramutasi in male.
La sua presenza un dubbio, "l'essenza";
la sua instancata ricerca: dolore.
Gli uccelli tutti insieme, come a un comando spiccano il loro levarsi
e volare.
Il resto sarà solo un altrove, le strade della vita un fosco viandare.
Vuote mete, perlopiù da ignorare.

L'appello


L'angoscioso dubbio apre le porte a nuove possibilità.
Attraverso l'angoscia io ripercorro come vecchia e nuova
al tempo stesso, la strada verso il sacro;
nel timore del mio smarrimento.
Il senso del peccato commuove in varie fasi;
la mia inquieta anima, d'errante;
e la consapevolezza d'ogni colpa avvelena i giorni
che dovrebbero generare la cercata felicità d'istanti.
Seppur giusto e ragionevole il dubbio mi riassale;
faccio bene il bene, o sono preda mio malgrado forse:
del male?
Tutto si riavvolge cupo come in una nebbia
ed io più che mai sento
d'aver bisogno di pregare, proprio come un peccatore.
Pur se mi sovvengo solo e abbandonato preda del dolore;
riavverto intorno la presenza SUA, sacro vento universale.
Qualcosa che "sperato" mi possa sollevare;
io anima inquieta che annaspa verso il suo salvare.
Cerco risposte ancora,
laddove credo di smarrire cerco
e mi pare di sentire, la SUA mano,
una voce dal mistero.
Attendo senza meritare, un emissario,
un raggio di luce come già accadde nell'ieri,
qualcosa a ripurificare i miei oscuri pensieri.
Qualcosa ancora a illuminare a rischiarare i miei doveri,
i miei tortuosi sentieri.
Voler capire, e accorgermi che in un altrove
una presenza pare palesarsi fino a qui e mi pare stia a sentire.
Il dubbio è ancora possibilità d'amore;
pur se non cessa subitanea la paura,
cerco annaspando incerto
la novella luce attesa come una speranza ferma e tesa di nuovo a illuminare.
E un preghiera e mi par nuovo e antico insieme;
questo mio silenzioso conversare.

L'ora


La mia pelle, brama di un'ora; l'ora che è tua,
e che diventa anche mia.
L'ora che segna l'attesa di due anni d'amore insoluto,
l'ora che vuole divenir manifesta
ed esistere per crearci forse un 1uogo,
che sia casa per viverci insieme.
L'ora in cui ancora ti dirò che ti amo.

Antro


Nella tua ora d'evento fatale
io ti osservo li, sulla nuda terra; nella tua breve sepoltura.
Mi sento improvvisamente attiguo alla tua anima.
Dov'è quel sorriso, dov'è quel bambino;
dov'è quello sguardo perso nell'attonicità d'un istante perverso
e che io non potrò più vedere?
Tu sei imprendibile, ed è una morte non morte la tua;
è come se girovagassi fra la tenue luce e l'ombra,
fra le fasi e gli sconnessi suoni che mai abbandonano la terra.
Chissà se sei: una fantasia?
Un mio amore antico?
Un viso intravisto dalle pagine assorte di qualche giornale?
Sei perlopiù assenza, sei perlopiù abbandono e vuotezza.
Sei creatura morta, o viva;
non importa: per me, è sempre una morte.
Solo perché non m'intreccio con la tua anima,
solo perché mi ricacciasti nei vicoli bui e minacciosi di ostili città;
quasi nemiche.
Ti ho veduto come in sepoltura,
nella tua giovane luce il rammarico di chi muore adolescente.
Ma era solo un brutto sogno,
tu nel reale ancor vivi,
tu respiri e palpiti che quasi ti sento, da questa mia casa;
dove ti penso.
E ancora come ieri mi susciti amore,
ma hai voluto tu, morire al mio bene,
al mio abbraccio che lieve ti circondava;
alla mia mano che sollevava il tuo viso.
Ho sconfinato le attese, ho perlustrato i muri e le ore; le fattezze di cose;
per vedere se ti assomigliavano.
Ma ho veduto solo il tuo morire al mio bene,
ho veduto la tua povera mente bambina
uccidere le ragioni sublimi del cuore;
del tuo, che mi chiamava e ancora mi cerca.
Sei come un sepolcro d'accuse e vergogne sol mie,
sotto un cielo di rabbie gementi
sotto una pioggia di lacrime più che dolorose.
Quel che vorrei è vederti rinascere,
così come si desidererebbe veder rinascere un caro affetto defunto;
poiché le mancanze non son altro che amore;
perché il dolore non è che preludio alla gioia;
perché non si scorda uno sguardo.
Invece ecco,
son qui a commemorarti in questo mio amore
come fossi tu creatura già estinta.
Ma tu vivi, per fortuna, amor mio; fuori, nella tua dolce carne,
e dentro alla mia pura essenza;
così la mia anima ancora ti cerca, nel silenzio ti prega;
e quella preghiera ha il suono macabro e senza fine d'una veglia di morte.
Forse è morto l'amore.

Inebriato di disperazione (semi della terra) - 1995


Inebriarsi di disperazione,
giornate di vuoto, ore di nulla.
Passioni pietrificate, una vita, una burla.
La mia sete, atavica sete di mete e ambizioni;
d'eccelso sapere, quella sete che non mai si placa.
Anelito dell'incomprensione.
Questa terra ancora selvaggia non è mai stata mia,
piena di sonno di chiasso e di sogni,
ipnotizzata dalla nostalgia dai bisogni, da qualcosa che " sia ".
Ti percorro terra, io senza tempo ne luogo,
io essere solo, attendendo da te,
ciò che non mi sai dare:
la fine delle mie pene, il cessar delle paure;
i sogni miei, non più, per una volta almeno: vane chimere.
Ma la sera m'accoglie come abbraccio di madre antica,
la sera mi tramonta nel cuore; e malgrado la rabbia
provo uno strano lontano sempre più vicino dolore.
E' esso, la vita,
e questa sera pian piano appassita a me innanzi
muore nel sole; come ogni cosa che s'agita e, pur per poco vive,
nell'illusorio personale clamore ch'è solo voglia,
bisogno estremo di farsi sentire.
Questa sera sofferente in rammarico,
come d'una mancanza d'amore,
transitorie forse effimere storie,
quelle del cuore che amò di accese passioni,
restate impresse nei personali ricordi;
e le altre, quelle più pure dei cari, restate in effigi sopra le tombe;
ed anch'essi amammo e ci amarono davvero
con purezza d'intenti e dell'anima.
Il solo terreno impeto di bene sincero, quasi divino;
anime rivestite di terra,
ad offuscare in materia ogni sacro mistero;
che comunque è costrizione agli addii.
Che le assenze obbligate, del disegno assoluto, paiono esaltare,
per noi che ancora viviamo, per noi che ancora in questo mondo fasullo: bramiamo.
Questa terra diviene uno col cielo di rosso tramonto,
è uno col tutto e col vento,
è un antico richiamo, inebriato di disperazioni sublimi,
nell'anelito atteso d'un forse;
un pensiero, un luogo sconosciuto ancora;
un punto di luce ancor troppo lontano.

Frammenti di realtà


Vecchi rimembri di passati antichi,
ho la sabbia della vita che mi scorre fra le mani,
ho frammenti di ricordi, eventi secolari incancellati nel mio cuore.
Ho ombre d'amore su di me, ed è svanito di già; e non ha più senso.
E’ l'età del raggiungimento;
Meno vociare dentro, meno annaspare; fra le cose tutte ed il tormento.
Ed io non ho che me, ed il lieve vento;
che mi porta gli odori mesti ed eccitanti della vita
come da bambino ad odorare l'aria,
in un'ebrezza di futuro; infinita.
Ad osservare la cima del vicino colle e le montagne per sapere;
dove dorme il sole, dove raggiungere la preghiera millenaria
per parlare all'imponderabile,
alla sua maestà,
all'amore sempre atteso, ma sempre sconosciuto.
Tristi frammenti di frastornate spemi
e frantumate mie illusioni ho ai miei piedi;
e possiedono anche facce e suoni e nomi;
e credute verità, echi di già uccise ingenuità.
Frammenti ed essi solamente sparuti cocci di troppe credute realtà
riflessi d'altre vite forse
un altro tempo che più non m'appartiene;
ora una semisconosciuta e già trascorsa verità,
ora un'introvata identità, ora un alito d'amore; agognato,
il suo calore, che più non mi sovviene.

Davanti il nulla


Davanti nulla vedo,
alle spalle, abbandonati eventi passati,
suoni e sospiri di ambizioni perdute.

Perché davanti v'è il nulla;
non so immaginare il futuro, c'è l'attimo, ora, e poi vuoti orizzonti silenti,
e quiete stelle forse senz'anima.

Grigiore assoluto, passa il tempo, un minuto;
e la vita inesorabile fugge, trascorre strisciando fra la pelle ed i muri;
agendo sull'anima stanca: provati dolori.

Perché davanti c'è aria e non altro, verdi e muti rossori, d'un tempo che fu;
illusioni al felice di giovani cuori, protesi agli amori.

Ieri era un volto bello, o forse anche di più; occhi capelli e colori, e sempre tu.
Davanti, oscuri presagi, realtà che dissolvono antiche fedi sbagliate,
chiasso sfrenato di vita era ieri,
ma oggi dond'è quella voce,
quei dolci romori,
quell'indaffararci creduto e obbligato, senza il quale pareva di non poter vivere.
Invece, si è vissuti lo stesso, ieri ed adesso;
ed ogni evento e cosa passano oscuri e remoti attraversati da lampi fugaci di luce stranita.

Perché qui; più spesso vi è oscurità; ed eventi insondati,
qua c'è solo la vita e noi esseri più che provati,
incarnazioni di una speranza smarrita, forse rubata,
forse forzatamente dimenticata.
In una realtà che è irreale, che crediamo nostra, ed invece ciò è solo quello che appare,
è come l'amore che non ci può mai appartenere,
come il sogno d'una cosa che inesorabilmente poi muore.

Come questo dolore di non essere esenti da cupezze e fantasmi interiori,
alla paura di esistere
a quella di andarsene, a quella di restare,
per divenire non altro che poveri uomini,
ebbri di lontananze anche nei pensieri, travolti da suoni,
da troppi colori,
per capire soltanto la propria condizione, cercare forse:
la propria certezza invece: essere per sempre soli.

Mie lontananze


Vedere, una lontananza... scorgervi tutto ciò che ti appartiene.
Scorgervi te e le tue vane promesse,
le credulità, i rammarichi ancor verdi,
le rincorse, le infinite età.

Vedervi le mie pazzie, le malìe, le discontinuità.
L'appartenenza al nulla, l'offesa dei fissi pensieri, il veloce ieri;
il male d'invecchiare, senza riuscire ad afferrare le cose che volli, e che oggi
ancor vorrei.

Scorgervi le promesse della vita, vane come le tue;
gli occhi, gli echi errabondi d'una storia finita, e l'agonia di mille e più passioni.

Vedere che m'allontano anche da me stesso,
seppur m'attanaglio con ferocia a quest'esistere,
gemo e mi lamento già da adesso. Sentore di tenebra dappresso,
io m'avanzo con un aggrapparmi disperato.

Le lontananze mie son il mio vero fato.
Nulla mai raggiungo; ma da tanto, tanto io mi sono incamminato...
Una sensazione sopra tutte: come una figura, un profumo
L'essenza d'un amore grande e senza fine;
scorto appena
e mai afferrato.

Io solitario


Solitario,
si frammischiano dentro e fuori di me, desideri e immagini.
Quando mi ridesto al mio reale, e non più altri od altro me mi fingo;
vedo la tragedia della vita mia senza soluzioni e fughe.

Solitario vedo confondersi i pensieri ed i ricordi; solitario,
come sono, come ero: sempre stato.

E guardo l'orizzonte mio lontano,
rimembrando ieri quando era facile autoingannarsi per continuare a vivere.

Promesse di felicità, che il fato mio, della sua stessa voce mentitore;
poi, nel dopo: l'oggi: non mantenne.

Solitario, m'aggiro nel mio nulla. La mia sola culla è madre terra,
alla quale voglio ritornare, ma il mio giaciglio è il cielo, oltre ogni cosa,
oltre queste mie vedute poste innanzi;
come queste montagne azzurre in lontananza,
troppo difficili da scalare.
Come la mia vita sempre senza, sempre in mancanza di forme di amore.

Solitario, andare, quest'inafferrato amore, incompresa anima mia;
che non vuole più, mai più patire,
all'incompreso attonito inutile soffrire.

Dove luoghi d'ombra - 1997


Dove l'ombra va a risolversi, in un cangiare istantaneo di sole;
dove l'essenza d'essa si compenetra alla mia inquieta anima
rabbuiata da stridenti mancanze...

Dove l'ombra pare morire,
e ci assurge al nulla.
La vita è una mancanza
e l'ombra ci riporta l'immagine di ciò che potrebbe essere d'altro;
mutevole misterico, ma chiuso ad ogni comprensione.

Dove l'ombra s'attarda al tuo attonito soffermarti, in un qualche dove,
un angolo; in ombra,
un oscurità repentina causata da un celarsi del sole.

Anch'egli non è che un riflesso del mondo, nel mondo;
e porta seco oltre che immisurabile luce, altre ombre di qualcosa d'arcano.

Una immensa invisibile mano che afferra segreta,
le residue tue forze, il malessere d'esistere,
e lo scaglia senza pietà nel silenzio assoluto.

Dove l'ombra è, passa un istante un minuto,
e tu, che ti dicono uomo, creatura; di chi?
Fatale, effimero, ora ricolmo di cose e pensieri, ora vuoto;
malato di desideri; dell'inafferrabilità del tutto,
della vita che trascorre veloce,
il tempo, l'amore; le brevi gioie, i lunghi dolori.

La morte, da sempre attesa, l'ombra sua, silente offesa,
qualcosa d'estremo, l'allungarsi lento della sua mano...

Dove son luoghi d'ombra: ecco l'uomo.
Le sue cure, gli oggetti, i fruscii di abiti stanchi,
stanche dimore fra silenzio e frastuono, e il rimembro d'antiche illusioni;
d'un infinito mai spento disio, care voci ed una, cari suoni,
un sospiro amato sul mio.

L'ombra amica sei tu, un riflesso, uno spettro ora, qualcosa di mio.
Un 'ombra son io; nel mio creder di vivere,
ch'è ombra anch'essa d'estesi abbaglianti universi
ch'or paiono vuoti e silenti, come immensi sepolcri;
abbandonati a se stessi, taciuti inerti.

Scende una lucida stilla su un viso, piccola ombra d'una lacrima, un gemito,
una parola, a DIO.

Declinata guancia su di una spalla ormai stanca,
e dentro un'anima disperante,
una luce dentro come bianca,
il tuo viso d'amore vicino al mio che ora mi manca,
ombra su di una via già conclusa senza più susseguenza,
il fato elude se stesso,
l'esister ci lascia, dolente l'io; ombra accesa forse d'altrove,
Mi chiedo dove; vi saranno luoghi senza più ombra?
Presenti di altri tipi d’amore.

Alla luna


A te che immota stai lassù nel cielo,
a guardia austera delle mie vicissitudini ingarbugliate,
delle mie lacrime di ogni giorno.

A te che immota stai vicino ai sogni,
vicino agli occhi che illumini di languenti raggi di zucchero filato,
che pari scendere dal blu di questa notte.

A te che immota stai;
a te che guardato hai, le vicende della perduta infanzia mia
di false fiabe, di false promesse poi divenute vane:
D'un tempo di cui provo ora paura e nostalgia.

A te che Immota stai, avvezza alle cure degli uomini viventi,
alle loro movenze senza senso
al non senso delle loro parole.

A te - che effondi dei tuoi raggi di dolce reposo
ogni finestra che nasconde una remota ora d'amore.

A te - che Immota stai e guardi
da che io son nato, i percorsi dei pensieri miei errabondi;
che valuti e
silente nell'immenso, il mistero nel mio cuore infondi.

A te - che nullo vento ti può muovere,
va il tributo mio.

A te compagna nelle notte dei miei pianti,
che sola, nel tuo silenzio vero
hai conosciuto l'intima essenza del cuore mio;
immota e ferma lassù a me innanzi.

Se da questa luce di sole


Se da questa luce di sole io sovvengo la bellezza e l'armoniosità
dell'immenso universo, è perché dentro a questo rinfrescato
vento mattutino del luglio; ho veduto qualcosa di grande
qualcosa che si vede e si accoglie con l'anima;
qualcosa che ogni cosa travalica
e non si può spiegare con conosciute parole.

E come se prendessi a volare, ho spaziato giocoso e estasiato
fra infiniti lembi di cielo, che azzurro come questa mattina
e chiaro e lucente così, io non avevo veduto mai.
Se, da questa luce di sole effuso fra ogni forma vivente, ho
avvertito un alito divinità; lo debbo a questa innata intuizione
che mi apre al mistero, agli arcani restati segreti;

Così dentro la natura elevato di commossi brividi di pace e di
ebrezza sconosciuta e magnifica, ho assaporato improvviso un
bagliore di eventi e di cose che sembrano eterne, ho veduto
la mia immortalità in una semplice ora qualunque; ho ancora volato
fra nembi e strati, altissimo e gioioso.

Ho penetrato ogni discrepanza
di rari pensieri ed eventi di vera luce, ogni canto d'altri
mondi, e quindi ancora il soffio divino.
Così anche lì, in quell'attimo rarissimo e caro ove il cuore tripudia
con l'anima all'unisono negli universi e con gli universi:

Ti ho atteso ma senza aspettarmi il tuo arrivo. E sei stata come
ogni cosa da me avvertita in quel mentre. Una parte di me che
pulsa di desideri e di amore come un'alba che non ha fine.
Una luce di luce vivente.