Quando le nubi del tardo meriggio
si squarciano all'azzurro prepotente del cielo che sembra tuonare,
mi sovviene lenta la nostalgia di qualcosa che ancor ho da trovare,
e pensieri e immagini.
Ogni scena s'avanza in un incedere lento
triste come di litania sentita già prima del vero,
innanzi a bianche, candide lapidi
stanche dell'attesa e logore
nell'immobilità che il tempo più non può mutare.
E avverto: l'imponderabile.
Come chiese di campagna all'odor della pioggia d'autunno appena cessata,
or vedo, mi pare; in così grande scena
un intuìto, vissuto di domani;
e ne ho la bramosia, e assaporo quel nulla ora.
Ed è pianto annullato di madre,
rassegnata e avvilita,
e nere donne in cantici incomprensibili stanno;
a riempir la mia nuova scena fantastica.
Cantano inni alla morte onde farsi udir, di rimando, dalla vita,
che regna loro malgrado sulle loro ataviche disperazioni.
Così a ricordar mille sepolcri d'erbacce nascosti,
e passati al passato come ogni cosa
che qui più non si scorga;
non v'è fermata in un'ombra, in una carezza che non avrà fine.
Torna visione campestre, là, nel fondovalle
rintocca l'eco lontano d'una campana
e canti di messa si levano
e liturgie si rinnovano
come ogni giorno, come ogni assoluto sempre.
Lo sguardo al di sopra si porta,
come al solito non afferro del tutto il divino
che sento regnare dietro i raggi di sole
scagliati giù dalle nubi ora più nere;
dentro al contrasto che rabbrividisce
i tranquilli pensieri.
i tranquilli pensieri.
E tutto si ferma all'ieri. Caparbio.
Ma sento, ed è gioia questa che per ora m'appaga.
E so di non sapere,
Ma sento, ed è gioia questa che per ora m'appaga.
E so di non sapere,
per l'ennesima volta più nulla;
e non v'è
né prima né dopo, né' sonno né veglia, né suoni né terra;
né prima né dopo, né' sonno né veglia, né suoni né terra;
odore di terra.
E dove non c'è, ci son io;
fermo in un orizzonte sempre troppo lontano,
forse di là da venire;
io che cerco ancora una volta
di penetrare irrisolto la vita.
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