domenica 17 giugno 2012

L'indestrezza


Nell'indestrezza di troppi intenti, ho sondato possibilità restate poi evanescenti.
E il dubbio su tutte le cose viventi,
si è fatto più profondo e radicato;
quasi che a volte mi pare, di vivere una realtà che non è reale.
Immaginare di essere in un falso mondo vivente,
che è solo movimento e rumore,
un vano viandare
un confuso colore, senza calore senza comprensione ne' amore.
Ed è nel lento costruirsi dei tentati intenti al mero fare;
è nel credere vero il realizzare, forse illudendoci al sogno:
che sta il segreto dell'avanzare,
il segreto ed oscuro bisogno di qualcosa d'altro da creare
di qualcosa d'altro ancora, forse di nuovo:
da dire.
Nell'ignoto intuire d'un occulto mistero a venire.
Ma manca l'amore, anche quando puoi scorgerlo e lo puoi quasi toccare.
Manca lo stesso: l'amore.
Oscura ma calda presenza che mai o quasi,
si fa vedere, sentire,
oscuro bisogno che mai si sa, né si può soddisfare.
Il suo segreto sta negli addii,
sta nella poca e vissuta, e subito dopo perduta felicità,
sta nel consapevole dolo di essere altro da qua,
dal momento speciale;
sta nel dispiegare lento e feroce,
del non saper mai afferrare l'essenza di tutte le cose;
la loro incomprensibile celata verità.
E la tua indestrezza è la sola capacità,
vivere sogno e illusione come fosse realtà.
E ' cosi che si giunge alle sere,
che sono non altro che aperte speranze
sull'improbabilità di un qualche radioso accadere,
su figurate possibilità al realizzare.
Rosse d’algido lucore, raro e fermo colore che porta la mente a divagare.
e sei sempre più solo,
ed insisti nell'immaginare, insisti e perduri caparbio a sognare.
Tutto si accende e si spegne irrisolto; in una vuota mancanza.
Tu cerchi ma sai di nuovo di non conoscere amore e forse poca clemenza.
Resti solo nel tuo appello interiore, ma nulla ad altrui può trapelare.
Immensa presenza avverti davanti, solo in essenza solo in assenza.
Resti così come un inutile cosa come un debito inganno
anno dopo anno solo ad annaspare.
Il mondo è sempre la stessa stanza del tuo ossessivo insvelare, del tuo averne abbastanza...

Chi era


Veniva dalla via posta di fronte,
a gran passo ma quasi indeciso
avanzava:
bassa la fronte.
Forse ero io, o forse qualcun altro;
che in me si celava.
Veniva al tramontare,
rossa luce riflessa, la strada.
Il bosco d’alberi abbuiati a delimitare.
Avanzava a pensieri pensare; si vedeva:
era assorto.
Si fermò, ma un colpo di vento lo esortò a continuare.
Dentro di se, lui non sapeva chi dei due sentia fosse morto
Ma lesto veniva; passava, e al limitare della fosca via,
nel silenzio spariva .

Non sono mai miei i giorni


Non sono mai miei i giorni.
Si finge d’esser di se’.
E non m appartiene la cara immagine d’un viso,
un panorama; la cava ferma dai lavori.
E’ sogno, attesa d’altri amori.
Ove, più lucida in inverni; ora strada è un asciutto nastro
sotto al sole riarsa.
A bruciare gomme e illusori confini.
Sfrecciano veloci mezzi verso il nulla,
e non posseggo che l’immaginazione,
che l’osservare mi riporta con cose ricreate.
Fervida saga personale delle forme.
Quanto sogno eternità su questa terra,
e vinto non mi do per vinto,
agli invisibili avversari forse, secolari.
Ora conosco la fallacità d’un respiro breve;
d’un empito dei sensi.
Non sono miei mai i giorni,
e senza traguardi l’anima si fissa in un altrove:
più d’uno sguardo una carezza ho speso,
per disperato amore.

Solo un muro mi separa


Un suono ed è lungi… ogni cosa.
Solo un muro mi separa dal mondo
ed i romori e le persone, passando: trascorrono
un’ombra di nube incupisce nel cielo.
La stanza rimbuia, come un velacro di morte.
Poi riapparire di luce.
Ed il mondo è un inarrivare, di sogni annullati,e langue
l’attesa d’umana carne di donna.
È solo un sospiro ciò che vorresti sentire,
un inganno dei sensi perduti a morire.
Illusione di spazi, inspiegabilità di tempi insondabili, più d’una presenza
è mutata in ricordo,
ma regna rancore.
Mi giunge un'istanza, è uno smuovere dell’anima inquieta.
Un muro mi separa dal nulla, uno sbadiglio, un’ora fasulla.
Radice io avvinghiata a uno sbaglio.
Remota in una terra sperduta.
Già sepolta in attesa, e tutto è sconosciuto;
arida distesa vuota che spense sorrisi,
su mari di foglie disperse, sui tratti dei visi.

Ho dischiuso mani di carezze


Ho dischiuso mani di carezze,
su visi inafferrabili.
Nei sensi smarrita la ragione
fra sospiri di gemiti e cieli offuscati da esalazioni di penombre.
E nella bruma filtrata breve e cauta
da un raggio lunare, eterea m’appari,
pulviscolare, fantasma nei ricordi,
nel tuo corpo senza veli, crepuscolare.
Insieme al mio desiderio ancor vivo, t’allontani.
Sembra morte; e nelle mani l’ombra del tuo corpo non dilegua.
E sotterraneo il mio amore a rispuntare breve,
come radici su una strada.
Non requie, disamalgamo a fatica, e il distacco fa dolore;
come volgere di stelle a un mattino che t’annienta.
Esubera il mio anelito
e carne e anima urlano per le mie mani vuote di te,
in questa vita in terra che m’esilia.
Mi prestano i soli ricordi gli occhi,
la tua forma viva.

Esodi ed esilii


Fatto suono, il silenzio mi muta la voce.
Forse è il peccato a pesare con forza indicibile
E’ lo sbaglio commesso da sempre.
E’ un gesto di lacrime, e la rabbia mi vive le viscere fra contorsioni.
Il presagio dell’ombra atterrisce speranze,
e si vive di personali allucinazioni:
buie stanze dell’esodo d’anima.
E la mia carne esiliata or dalla tua;
muore nei sensi insvelati il male della mancanza.

Del mio silenzio di uomo provato


Macerie di sogni esalano
putridezze d’uomini.
Sparso sangue delle ambizioni.
Insaziabili brame dell’essere.
Credulità acquisite
Un illusione c’intride e l’anima incanta,
sappiamo del nulla.
Una muta sete ci assurge in ricerca.
L’origine è ciò che cerchiamo.
Mi sconsolo delle separazioni.
Mi nascono sogni, e l’amore è una mano esitante
a carezzarmi anima e viso.
Le mie membra inerti dell’insoddisfazione
mi lasciano su di un divano di sogni
a inseguire le immagini;
arbusto divelto
silenzio rotto dal suono della televisione, da voci sconosciute strida di auto.
E tu sei più che un’amarezza,
ora che l’ombra mi copre viso e pensieri
e il muro rimanda simulazioni riflesse di vaghe movenze:
Gli abissi insondabili
non sono altro che residuo stupore
degli abbandoni.
Insieme al tuo qui, regna
il mio assoluto silenzio di uomo provato.

Il tuo primo nome


Una volta era chiaro e netto
il passare di ogni stagione.
Mutava, e pronta la giovine anima si prestava: felice.
Ora s’ammucchiano periodi e intemperie,
e luce e colore s’adombrano.
Sono piegato su me stesso seduto, provato da stanchezze indicibili.
Non affronto stagioni, vieppiù primavere.
E ignoto è quel tempo che spinse a voli imprecisi verso l’amore.
Il fascino dei boschi dei fossati, il ramarro i mille rumori;
e due cuori fanciulli sorpresi dal desiderio.
Fra foglie rifugiavano uccelli,
e noi svelavamo segreti.
Aeree stagioni di scoperte palesi,
sarebbe stato il poi a donarci pietrificazione e dolore.
Il tuo nome è ancora il primo che ho udito.

Erbe e stanze


Nella tua erba ho affondato piano le mie mani,
non più candide né serene.
Come l’anima dopo scoperte di morte,
l’odore di primavera era il tuo odore di donna.
Dissonanza d’un fiore agguerrito fra’sassi.
Fin nelle cellule una brama di carne,
un moto d’impeti nuovi, azzerato dall’accascio muto del desiderio.
E fra l’erba i tuoi sandali, il piede esile con le unghie tinte di rosso;
erano già preludio d’amore.
Distanza di spazi a raggiungere la camera in ombra,
a procedere nel misfatto dei sensi: cucitoci addosso.
Venni a te con la crudezza della passione.

Indotta a me


Indotta a me da un destino vago, imperscrutato.
Un fato d’immemorie.
Ricalco passi già percorsi, coltivazioni in solco alla mia anima;
peregrinazioni senza requie,
una maledizione. Tu rigravi !
Consorte , mi devasti, assente d’anni,
una matrice di perpetuazioni.
Nuova origine ai miei mali antichi
Forse millenari.
Strazio muto d’alberi e stelle.
Beatitudine indurevole.
La dolce labilità delle tue labbra dissona,
è un segno falso.
E sei crudezza, meravigliosa e sordida, m’arrovelli,
scempio delle cose, inferni di parole.
Sei bastata a farmi credere una maceria dei miei giorni.
Sfacelo d’un anima, culla di voce e corpo sepolta nell’erbe circoscritte.
Non sono più rinato amore…
Ti sia sconforto il mio dolore muto d’ombre diramate,
il veleno di parole scivolate da queste labbra di te ignude.