domenica 3 ottobre 2010

Altari del silenzio - 1989


Altari scrostati per le nostre preghiere,
a volte altro non sono che mattoni sbiaditi di povere case.
E noi inginocchiati a chiedere, a supplicare,
ancora e poi ancora; senza più pace.
Altari che sanno ascoltare,
e in fondo a essi intravedo nell'ombra
la figura senza tempo d'un sacerdote,
che testimone fra due mondi:
mi guarda in silenzio pregare.
Distanti si perdono lievi fruscii,
fra il pudore e il celarsi di chi si vuol confessare.
Emozioni confuse, bisogno di lacrime o forse è pentimento;
mi chiedo la ragione al sussistere
il suo eterno lamento
sento il sacro filtrare dai colorì irreali dei vetri di chiesa,
quasi pervade il mio dentro.
Poi un colpo di tosse, accanto ad una eco di passi:
ritorno al reale.
Ho domande senza risposta da sempre,
e non più la forza di chiedere.
Non comprendo il mio ruolo
né questo mio vivere perduto dietro un sogno ormai spezzato.
Mi resta la fede il tempo sempre contato
il mio caparbio credere.
Malgrado tutto non so vivere con innanzi l'incerto,
conosco ora solo il nulla che avverto.
Scorgo solo altari scrostati e vuoti
nel canto amico di questo eterno silenzio.

Seconda classificata al premio nazionale "Riva Lucchesi"

Il giorno


Il giorno appare, vola veloce, dispare; nell'effimero buio.
E ci si appresta alle cose,
se non quando è già troppo tardi;
ed il tempo non è mai quello giusto,
e si resta inconclusi nel fare.
Il giorno convulsamente vive, si riempie di suoni e romori;
stride, alle cose disarmonizzate, ride dell'irrisoluzione d'ognuno,
scompiglia d'ogni uomo i pensieri
e passa su noi immergendoci perlopiù nell'ieri.
Che sempre è giorno, che sempre è egli stesso ad ogni nuovo ritorno.
Il giorno acceso di fulgido sole,
il giorno che vince su qualsiasi bisogno;
come delle brame innumeri d'ognuno: prima fra tutte l'amore.
Si vive da svegli ma come in sogno.
Passa in un ricordo sbiadito, in un sorriso svanito,
in un sentimento antico che fu.
Passa il giorno e passi tu, che chiamai carezze al mio cuore.
Passa come sguardo al cielo su mani protese,
fra le rabbie che ci fanno pensare;
a volte abbandonati perfino da un impeto assoluto di fede.
Giorno, v’è qualcosa o qualcuno che dall'alto ci vede: ma tace.
Ma io anelo a certezze, anche dall'invisibile;
poiché m’intride di tedio, la terra e la mia solitudine,
ogni consuetudine,
che non fa più per me.
M'assale la mancanza come di qualcosa, e quella di te.
Che svanisci nel buio della notte,
come una, stella lontana,
come un giorno una settimana,
come una cara presenza
temporanea e forana.
Come un ennesimo giorno ove t'attendo; come in esso, con te vi attendo
il tramonto, la notte, l'evento amato muliebre, d'un nuovo raggio di luna.

Involuto distanziamento


Alla mia anima manca una rara dolcezza,
io sono solo ora nelle vastità della terra.
Nulla serve a porre consolazione, chiudere gli occhi, per non vedere durezza.
Aperti luoghi mi beano lo spirito,
e m'affondo in tramonti mai conosciuti.
Ma, alla mia anima manca quella rara dolcezza.
E dico che nulla sarà più come prima nel bene.
Quando il bene fu fanciullezza e carezze sicure, di puro amore dell'anima.

Ore di pace


Scorrono portate cose dall'acqua,
portate dal vento.
Scorrono senza un rimpianto, senza un lamento.
Ora che la vita approssimando se stessa finisce,
ora che ogni amore uccidendo se stesso, perisce.
Scorrono lente le ore, le ore di pace; le ore di guerra, le ore di sale.
Scorrono lacrime: pianto di te.
Scorrono cose, oggetti e astrazioni del mondo.
Scorrono vite e voci, e rumori e sommosse.
Poi nel tempo che scorre tutto si tace rintocchi di ore lente, le ore di pace.
Tutto finisce e morendo scorre nel vuoto,
vuoto che tace; silenzio! Suono di morte,
si placa anche l'ultima inesorabile voce.

Elusione


Vengo da un ieri ineludibile,
come strascico di veste inutile aggrega i miei passi e mai s'allontana;
non resta indietro perduto.
Vengo da un già vissuto futuro, dove l’inaccortezza
mi ha trascinato via dalla speranze dalle possibilità: cose distrutte.
Vengo da l'ora presente, una maschera che strascica anch'essa
già dietro di me, sogghigna come una passione mai spenta,
come l'insoluta inesattezza di questa mia vita.
E lascio percorsi di occhi e aliti ottusi di voci,
lascio le ombre di uomini, a pavoneggiarsi nell'aria del nulla;
ora che andando e venendo dentro e fuori di me ho presente la morte.
Vengo dalle risa ottuse e imbecilli delle non verità di chi non la conosce.

La via della luna


S'offusca la luna dietro le buie nubi

che la nascondono

a tratti lambendola;
in una parvenza di luce e scomparizione alla vista.
Ricordo la luna d'ieri, l'antica speranza avvolta dagli astri;
quasi padroni.
Ricordo, più d'un amore rapito dalle foschie di novembre;
quando esisteva nel profondo,
un alone lucente di gioia.
S'offusca la luna, queste nubi, dimore d'arcano,
l'avvolgono in creduta nebbia;
in una parvenza di temporale che atteso: verrà!
Ricordo la luna dei miei stupori fanciulli, del me sconosciuto;
i sogni futuri all'esistere, allora signori dell'anima;
per l'amore che nel futuro; non avrei avuto mai.
Ricordo, la mia casa ora mancante d'alcune voci: quello era amore.
Ora m'aggrappo a quelle che restando mi chiamano per nome;
ma come sempre mi sfugge; l'amore,
dietro nascoste nuove speranze:
ed in gesti fermati ad un istante di rara amarezza, s'affaccia: la morte.
Ma non ho più sogni, ho solo famiglia d'origine;
e come per gli altri;
resto a loro uno sconosciuto;
escluso allora m'apparto
per non disturbare la vita, che scorre, che scorre.....
Gioca ancora con me come ieri la luna;
e s'offusca alle tarde nubi,
come sui miei già tardi anni, e le cure e gli affanni che hanno seguito.
Ricordo: la toccai con un gesto soave e solenne del dito;
e adulto innocente, nell'oggi ritrovai l'infinito.

Riflessi di psiche (aridità) - 1994


Risplende d'attonita luce, il meriggio autunnale; ove regna l'arcano.
Risplende, ed io mi ritrovo
accostato ai ricordi,
e a bramosie del futuro.
In accordo con l'anima,
cerco fra mura e vedute di cose;
ciò che sento mancarmi.

Infecondo e vigliacco, amaro involucro già vecchio;
amante allo specchio, d'una somiglianza.
Fra fronde e verde natura boschiva; mi taccio: silenzi.
Risplende ed odora quest'aria, è novembre;
mese di cose già morte e sepolte.

Ho ottenebrato antichi pensieri, per soluzioni di lacrime.
Mi vedo in chiarezza, onda che non s'infrange;
uomo falso che prega, che piange;
al lamento gemente, lanciato a DIO; che su me rifrange.

Risplende la mia sterilità,
che nacque con me, per la mia smania di vita verde;
poi imprigionata da eventi, e tacque. Su te.
Poi viene la sera, e come sempre, mendico amore,
frugando in un cesto d'ottuse amarezze, di gioie mai trovate, mai vissute;
ombre lievi d'un domani che muore, ridendo silente; nel nulla;
d'una visione sfumata d'assenza di carezze perdute.

Transfert


Mi alzavo, risvegliavano i residui di sogni,
vaghi pensieri di cose del vivere.
Pensavo a scogliere impraticate, idee d'un mare che poco conosco.
E il risveglio cittadino nella pioggia senza rumore,
mi ripercuoteva nell'anima l'assenza dell'agognato amore.
Rimettevo insieme a fatica, pezzi di abitudini consolidate.
Foschi gioghi dell'inerzia.

Nullitudine


Nel rivolo salso, una lacrima di neve s'attarda
Io non mi mescolo al turbinio
fatto d'abbracci falsi e loschi affaracci dell'umana specie.
Inutile si leva di lontano un'altra voce;
fra poco annotterà, e la luna piena se ci sarà;
regnerà ancora sul taciuto frastuono dell'odierna moltitudine;
che si addormenterà.
Il freddo ora spazza le riviere; avvolge le pianure.
Tutto si perde, o solo pare; in una totale nullità
nella confusa similitudine.

L'inerzia


Nel mio fisso tormento,
sì lieve od intenso, secondo i momenti; ed i giorni:
Io m'attardo nel mio nemmen voluto perdere tempo.
E l'unico suono è dentro, il mio fisso lamento.
Mi mancano cose da concludere, che concluse non sono mai,
per quanto io faccia.
E m'intride quel senso d'amore che pur vivendolo appieno: mi manca.
E mi sveglio con la mia faccia stanca,
col senso perenne dell'ora fatale, il terrore suo;
quel tormento instancabile riprende, è solo mio.
Intanto fuori, le sommosse degli umani, mai provi e stanchi del loro cercare;
non soffermano, non osservano, nulla paiono sapere dello spirito loro;
dell'occulto mistero, del contemplare.
Ma regna la tristezza indefinita, quel navigare in un altro mare.
Quel non amore che a tratti si rivela, si palesa e pare "sia";
poi nella sua nostalgia repentino va a riscomparire.
E tutto è una mancanza, nell'inerzia obbligata quasi,
che ora sembra costrizione e debito finito mai di pagare:
Tutto quel tutto par trascolorare.

Il cascinale - 2009


Sognavo ancora una casa abbandonata,
immersa nel verde ignoto e fermo.
Diroccata forse, senza tetto senza porte,
dove tu mi regaleresti estreme sensazioni.
dove i fiati e i batticuori ,
si impossessassero per un istante lungo delle nostre vite.
Fuori la terra verde e l'immensità della natura multiforme,
si perdevano in un'assolazione di luce indicibile.
Dinnanzi a noi si protendeva allora, un'eternità senza spiegazione.
E i romori della natura vasta a noi, all'intorno;
a far da sfondo ad un silenzio
senza fine.
I sensi già infiammati pareano clamori,
forse l'amore non è che questa dolce negazione di se stesso,
questa terrificante nostalgia,
del sapersi inesorabilmente disuniti.
L'abbraccio perdurava nella consapevolezza del distacco che s'approssimava; dentro lui; fra noi, vibrava un preciso e certo senso dato al vivere.
II dopo ci avrebbe disilluso ancora.
Guardammo fuori, avvertimmo solo il senso ignoto delle cose;
l'assordante suono delle nostre anime mute.

L'alternante rivelazione


Mi volgevo ancora una volta al sacro senso celato.
Mi rivolgevo al padrone di tutto il creato.
Ero stanco di essere disperato.
In ogni fibra avvertivo la vita cosi tenace, caparbia a volte;
e forte; come una sconfitta una cosa da sempre finita,
un pensiero di morte.
Quel senso però trapelava il sacro, tra le ombre e la luce affacciava
dopo tanto tempo senza: io lo rivedeva.
Ma restava inafferrato.
Era come una voce che parlava al silenzio, e pervadeva il mio dentro.
Era come una carezza irrivelata sull'anima che testé si placava.
Era il conforto da ogni paura, da ogni sgomento.
Poi come in un momento dispariva, si ricelava.
Ed io restavo li in attesa a contemplare la natura che mi circondava;
fino a che non sarebbe riapparsa di nuovo la disvelazione.
Prossimo affacciarsi di luce a penetrar le mie tenebre terrene,
ogni mia fosca passione, la mia atavica disperazione.

Dare e ricevere


Smisuratamente

ho tanto da dare, e mi aspetto ricevere.
Non per doglia o per tedio, per il languore quasi fermo
di queste giornate
ma per amore.
Altrimenti a regnare incontrastati sarebbero solo i pensieri,
silenziosi torturatori dell'anima.
E così, se accade; più do e più vorrei dare;
e mi aspetto però in contralto ricevere.
Ma quel senso che dei sensi è padrone,
come del sentimento, pare non avere mai fine… dentro.
E nuove speranze esagerate, sensualità e voglie inaudite;
avvolgono il segreto di quelle quasi inconfessate.
Ma è soltanto senso d'amore; ci fa piena la vita:
la sua breve gioia,
il suo lungo dolore.