mercoledì 29 settembre 2010

Gli oggetti


Come sono belli gli oggetti,
si prestano al piacere della contemplazione.
Ho cari gli oggetti del mondo: vari.
Infiniti, come appaiono tutte le cose.
Sono fatti da DIO; poiché fatti dall'uomo.
Possiedono un colore,
a volte un odore, altre un suono.
Eludono per un poco allo sguardo la generale paura,
la nostalgia della vita, il dolore dell'abbandono.
Sono cari gli oggetti che amiamo,
eterni appaiono a noi, che a tutte le cose viventi e non: ci aggrappiamo.
Amiamo sempre amiamo, le creature, le cose, noi; noi che ce ne andiamo…

Il torrente


Scorreva il torrente; placido e mesto; mentre noi due seguitavamo a dolerci,
Mutavamo in volerci.
Oggi non è più come ieri, quando giuravamo d'amarci.
E cambiano le cose, gli sguardi,
ora che il nostro amore non è più fatto nemmen di parole,
ora che la tua pelle non è più fra le mie carezze:
una strada che m'inebriava la vita, ora è finita.
E mi pare d'aggirarmi dentro ad una prigione senza confini.
Oltre ci sei tu, con la tua, anch'essa quasi infinita,
ma circoscritta e chiusa.
Isolata la vita; per non vivere amore.
Intanto scorre ancora il torrente,
e muta il dolore in continuo fragore; ma è lo stesso suono e non cessa.
Dentro vi è lo strazio inutile d'una gioia che fu troppo grande:
poi di forza repressa.
E ci aspetta una sconosciuta domanda,
che non sappiamo ancor formulare,
il vuoto e l'abisso avvertito ora, non è altro che attesa d'amore.

Come Neruda


Tu
Non più ricordi forse ora,
le vette montane fra gli occhi nostri ed il cielo,
che insieme contemplavamo da sopra una altura.
Insieme! Eravamo insieme; come tu sempre dicevi.
Amavi dire quella parola!

Tu
non più ricordi l'automobile delle nostre scorribande notturne;
fatta di due - noi - che si bastavano, che inglobavano in se stessi;
il colore della notte, il luccichio delle stelle.
Io ti parlavo, come Neruda;
e pronunciavo
con le labbra a fil di voce il tuo nome.

Tu
più non ricordi quel gesto ovattato di dolce sale,
scintillato tra noi; come folgore accesa e imperitura.
Gracidavano le rane, cantavano i grilli,
tacevano della collinare campagna
a quell'ora lunare i sommessi mestieri della vita dell'uomo.
Io ti ero un po' tutto; padre, madre, fratello e maestro;
volevo esserti invece soprattutto amante.
Assaporavo i tuoi aromi
con l'essenza notturna della natura che si risvegliava alla primavera.

Tu
più non ricordi le luci distanti, fra le nostre dita; per gioco
afferrate da quella altura;
con l'amore per la fantasia.
Il mio abbraccio era luce scaturita dal bene sempre illuminato
come le stelle di quelle notti.
Forsennati ed insonni abbaiavano alcuni cani lontano,
fra i casolari e le messi appena sbocciate.
Insonne ero io.
Anche dopo averti riportato alla tua casa;
io che arginavo la piena nel mio cuore,
dell'amore per te.

Tu
più non ricordi, ma si sa;
i ricordi sono di chi è già abbastanza vecchio per coltivarli.
Ed ho così seminato le tue movenze e le tue parole,
nei terreni della mia angusta anima.
Ed anche io poeta, ed anche io esanime
di vita succhiata dalla tua
bocca nascosta e mentitrice,
ho creato - come Neruda - versi di bene
e di carnalità sempre nascente.

Tu
più non ricordi le antiche chiese dormienti alla notte,
magica e senza affanni: solo nostra;
gli antri bui, le parole che ci compenetravano.
Ma io sì, io ricordo tutto:
ogni istante
ogni pezzo di strada,
ogni ora passata accanto al tuo amore dolente
e avvicendato alle poche speranze.

Tu
più non ricordi che una notte - una di quelle notti -
ti ho preso per mano e ti ho - giovane anima - presentato alla vita,
alla verità di esistere, al sacro e al profano,
al bene ed al male.

Tu
più non ricordi, ma ricordi certo,
di non avermi detto nemmeno una volta Ti amo.

Il male di essere figlio


Chi mi porta via le forze sei tu, malattia che non passa; male di figlio.
Amore che non ha soluzione, ed i corpi che vedo vivendo,
segnano l'approvazione o il disappunto che attendo tuo;
per poterli amare.
Ed eccomi schiavo d'un mero ideale,
schiavo per i lacci alla mente ed al cuore. Io senza amore.
Io schiacciato da qualcosa di eccelso,
che pare un impegno irrimediabile al quale io non so ottemperare.
Sofferente del male di essere figlio;
che non sa vivere lontano da te,
la sua sconosciuta realtà di vita, d'amore.
Restano le lacrime, la disperazione, la tentazione di farla finita.

Cosa accade


Che m'accade? Sosta inviene nella mia oceanica inquietudine;
si placa l'onda e al la marea.
Certezza d'altre cose, e mi sovvien la via infinita,
il dispiegato eterno,
la vaghezza nulla della mia nulla vita.
M'accade: il presagire, l'occulto mio avvertire;
che già sopra questa strada mi richiama e guida,
ed avanzando sempre più s'allontana
agli echi delle grida dell'esistenza vuota e vana,
come miraggio, fata morgana... alle mie spalle restano le cose che bramai.
M'accade ora che le lascio,
mi sovviene l'iniziare lento, del tempo del finire;
non senza sgomento, non senza un po' rabbrividire.
Malgrado la mia volontà che lotta contro,
vedo le mie passioni appassire; la verde età sparire,
la terra, fosca nuda terra madre: rabbuiare.

E' l'ora di capire: che m'accade?
Si sveglia l'anima dal sonno secolare,
immemore oramai d'eventi.
si sveglia l'intuire, la sacra voce universale,
come un riflesso irradiante
come un richiamo di luce di stella polare.
Ed il cielo si centuplica in visione,
e lascia a se stesso ciò che ha veduto nei millenni dell'ieri,
nell'eterna evoluzione.
Proprio come me, che m'accade d'intendere in un mistero una voce,
un qualche perché.
Che m'accade d'intraprender la via, che è strada del vero;
e che tace ora ogni vano suono e movimento del mio lungo passato.
La via, su cui io pur vivendo: sono rinato!

Specialmente la sera


Specialmente… la sera,
noie, tempi allungati, inattenzioni.
Specialmente… la sera,
silenzi, allontanati romori, vaghi e imprecisi,
che giungono attutiti dai meandri iperprotettivi delle pareti.
Specialmente... la sera,
irraggiungimenti, analisi dell'anima, giovinezze e credulità fuggite.
Amori lievi o pesi, annullati offesi
dalle intemperanze, dalle incomprensioni palesi.
Specialmente... la sera,
questo andare mio alla deriva;
senza approdi, per questa stanchezza, che naufraga con me
che resto solo da un tempo immemorabile;
nel silenzio ch'è eco d'una speranza sepolta... remota.
E’ ombra d'una stanza ormai vuota...
D'una luce accesa da mani sconosciute…
Sempre più fioca.

lunedì 27 settembre 2010

Potessi


Potessi quantificare tutto l'amor che ti porto;
non basterebbero estese pianure, né spazi infiniti di cielo;
per contenerlo.
Potessi dirti ogni minuto secondo quanto grande esso sia,
udresti all'istante il battito acceso del mio cuore,
potresti toccare quasi la mia felicità.
Perché sei amore; una direzione obbligatoria, una via che porta;
i miei passi al tuo odore,
una immemore memoria,
dalla gioia al dolore; eppoi di nuovo dal dolore alla gioia.
Potessi farti capire, questo mio desiderarti e non averti ora,
e provare ogni istante a morire,
per rinascere a una flebile speranza;
ad un tuo creduto arrivo fasullo, e poi di nuovo il silenzio:
per morire ancora.
Quanto è lunga la via del perdono,
ardua invece la femminea crudezza,
della donna verso l'uomo.
Potessi farti comprendere, come m'angustia quel suono:
La voce tua, la mia; in un passato prossimo e già lontano;
ove nell'anima, che per davvero avvertì, allora, la vita;
ci dicemmo mille volte, e mille ancora: ti amo.

Gli uccelli - 2009


Come in una lenta estenuazione,
procede il levarsi mattutino
come lo snodarsi d'una processione.
Guardo attraverso la finestra di cucina, in giardino.
L'erba tagliata appena ieri,
attrae miriadi di uccelli,
e corvi e merli, e passerotti,
il loro cercare girovagare
in cerca d'insetti, di pane piccoli pezzi;
mi rapisce e riplaca dalla rabbia del risveglio
che appare confuso alla mente;
ed elenca cose da fare, desideri da esaudire,
anch'io per cercare, annaspare, per risolver la vita.
Ma già dopo dieci minuti dall'uscita dal sonno, ci potrei ritornare
poiché non so come fare.
E nullo così si presenta il giorno ancor nuvoloso di pioggia sperata;
da affrontare, come una marcia forzata;
e farei conto se fosse possibile di poterlo barattare;
con cosa... chissà forse con le agognate esaudizioni,
con un po' di residua felicità.
Invece il tempo è noia dilagata.
Se fossi come quelli uccelli, ce l'avrei già,
ma l'uomo, perlopiù di mente malata,
è un essere fatto di complessità
e si aggira anch'esso,
si dibatte portato qua e là, senza un metodo e un ordine,
da miriadi d'ambizioni,
nefaste magari e forse irrealizzabili.
E i sogni e suoi desideri, non son mai veritieri,
né poco o nulla forieri di soddisfazioni.
Non sa come arrivare;
non gli basta come quelli uccelli,
semplicemente vivere, senza pensieri pensare, librarsi e decollare,
è forse malato d'inestinguibile amore mancante;
e il troppo sapere a volte è un bene che tramutasi in male.
La sua presenza un dubbio, "l'essenza";
la sua instancata ricerca: dolore.
Gli uccelli tutti insieme, come a un comando spiccano il loro levarsi
e volare.
Il resto sarà solo un altrove, le strade della vita un fosco viandare.
Vuote mete, perlopiù da ignorare.

L'appello


L'angoscioso dubbio apre le porte a nuove possibilità.
Attraverso l'angoscia io ripercorro come vecchia e nuova
al tempo stesso, la strada verso il sacro;
nel timore del mio smarrimento.
Il senso del peccato commuove in varie fasi;
la mia inquieta anima, d'errante;
e la consapevolezza d'ogni colpa avvelena i giorni
che dovrebbero generare la cercata felicità d'istanti.
Seppur giusto e ragionevole il dubbio mi riassale;
faccio bene il bene, o sono preda mio malgrado forse:
del male?
Tutto si riavvolge cupo come in una nebbia
ed io più che mai sento
d'aver bisogno di pregare, proprio come un peccatore.
Pur se mi sovvengo solo e abbandonato preda del dolore;
riavverto intorno la presenza SUA, sacro vento universale.
Qualcosa che "sperato" mi possa sollevare;
io anima inquieta che annaspa verso il suo salvare.
Cerco risposte ancora,
laddove credo di smarrire cerco
e mi pare di sentire, la SUA mano,
una voce dal mistero.
Attendo senza meritare, un emissario,
un raggio di luce come già accadde nell'ieri,
qualcosa a ripurificare i miei oscuri pensieri.
Qualcosa ancora a illuminare a rischiarare i miei doveri,
i miei tortuosi sentieri.
Voler capire, e accorgermi che in un altrove
una presenza pare palesarsi fino a qui e mi pare stia a sentire.
Il dubbio è ancora possibilità d'amore;
pur se non cessa subitanea la paura,
cerco annaspando incerto
la novella luce attesa come una speranza ferma e tesa di nuovo a illuminare.
E un preghiera e mi par nuovo e antico insieme;
questo mio silenzioso conversare.

L'ora


La mia pelle, brama di un'ora; l'ora che è tua,
e che diventa anche mia.
L'ora che segna l'attesa di due anni d'amore insoluto,
l'ora che vuole divenir manifesta
ed esistere per crearci forse un 1uogo,
che sia casa per viverci insieme.
L'ora in cui ancora ti dirò che ti amo.

Antro


Nella tua ora d'evento fatale
io ti osservo li, sulla nuda terra; nella tua breve sepoltura.
Mi sento improvvisamente attiguo alla tua anima.
Dov'è quel sorriso, dov'è quel bambino;
dov'è quello sguardo perso nell'attonicità d'un istante perverso
e che io non potrò più vedere?
Tu sei imprendibile, ed è una morte non morte la tua;
è come se girovagassi fra la tenue luce e l'ombra,
fra le fasi e gli sconnessi suoni che mai abbandonano la terra.
Chissà se sei: una fantasia?
Un mio amore antico?
Un viso intravisto dalle pagine assorte di qualche giornale?
Sei perlopiù assenza, sei perlopiù abbandono e vuotezza.
Sei creatura morta, o viva;
non importa: per me, è sempre una morte.
Solo perché non m'intreccio con la tua anima,
solo perché mi ricacciasti nei vicoli bui e minacciosi di ostili città;
quasi nemiche.
Ti ho veduto come in sepoltura,
nella tua giovane luce il rammarico di chi muore adolescente.
Ma era solo un brutto sogno,
tu nel reale ancor vivi,
tu respiri e palpiti che quasi ti sento, da questa mia casa;
dove ti penso.
E ancora come ieri mi susciti amore,
ma hai voluto tu, morire al mio bene,
al mio abbraccio che lieve ti circondava;
alla mia mano che sollevava il tuo viso.
Ho sconfinato le attese, ho perlustrato i muri e le ore; le fattezze di cose;
per vedere se ti assomigliavano.
Ma ho veduto solo il tuo morire al mio bene,
ho veduto la tua povera mente bambina
uccidere le ragioni sublimi del cuore;
del tuo, che mi chiamava e ancora mi cerca.
Sei come un sepolcro d'accuse e vergogne sol mie,
sotto un cielo di rabbie gementi
sotto una pioggia di lacrime più che dolorose.
Quel che vorrei è vederti rinascere,
così come si desidererebbe veder rinascere un caro affetto defunto;
poiché le mancanze non son altro che amore;
perché il dolore non è che preludio alla gioia;
perché non si scorda uno sguardo.
Invece ecco,
son qui a commemorarti in questo mio amore
come fossi tu creatura già estinta.
Ma tu vivi, per fortuna, amor mio; fuori, nella tua dolce carne,
e dentro alla mia pura essenza;
così la mia anima ancora ti cerca, nel silenzio ti prega;
e quella preghiera ha il suono macabro e senza fine d'una veglia di morte.
Forse è morto l'amore.

Inebriato di disperazione (semi della terra) - 1995


Inebriarsi di disperazione,
giornate di vuoto, ore di nulla.
Passioni pietrificate, una vita, una burla.
La mia sete, atavica sete di mete e ambizioni;
d'eccelso sapere, quella sete che non mai si placa.
Anelito dell'incomprensione.
Questa terra ancora selvaggia non è mai stata mia,
piena di sonno di chiasso e di sogni,
ipnotizzata dalla nostalgia dai bisogni, da qualcosa che " sia ".
Ti percorro terra, io senza tempo ne luogo,
io essere solo, attendendo da te,
ciò che non mi sai dare:
la fine delle mie pene, il cessar delle paure;
i sogni miei, non più, per una volta almeno: vane chimere.
Ma la sera m'accoglie come abbraccio di madre antica,
la sera mi tramonta nel cuore; e malgrado la rabbia
provo uno strano lontano sempre più vicino dolore.
E' esso, la vita,
e questa sera pian piano appassita a me innanzi
muore nel sole; come ogni cosa che s'agita e, pur per poco vive,
nell'illusorio personale clamore ch'è solo voglia,
bisogno estremo di farsi sentire.
Questa sera sofferente in rammarico,
come d'una mancanza d'amore,
transitorie forse effimere storie,
quelle del cuore che amò di accese passioni,
restate impresse nei personali ricordi;
e le altre, quelle più pure dei cari, restate in effigi sopra le tombe;
ed anch'essi amammo e ci amarono davvero
con purezza d'intenti e dell'anima.
Il solo terreno impeto di bene sincero, quasi divino;
anime rivestite di terra,
ad offuscare in materia ogni sacro mistero;
che comunque è costrizione agli addii.
Che le assenze obbligate, del disegno assoluto, paiono esaltare,
per noi che ancora viviamo, per noi che ancora in questo mondo fasullo: bramiamo.
Questa terra diviene uno col cielo di rosso tramonto,
è uno col tutto e col vento,
è un antico richiamo, inebriato di disperazioni sublimi,
nell'anelito atteso d'un forse;
un pensiero, un luogo sconosciuto ancora;
un punto di luce ancor troppo lontano.

Frammenti di realtà


Vecchi rimembri di passati antichi,
ho la sabbia della vita che mi scorre fra le mani,
ho frammenti di ricordi, eventi secolari incancellati nel mio cuore.
Ho ombre d'amore su di me, ed è svanito di già; e non ha più senso.
E’ l'età del raggiungimento;
Meno vociare dentro, meno annaspare; fra le cose tutte ed il tormento.
Ed io non ho che me, ed il lieve vento;
che mi porta gli odori mesti ed eccitanti della vita
come da bambino ad odorare l'aria,
in un'ebrezza di futuro; infinita.
Ad osservare la cima del vicino colle e le montagne per sapere;
dove dorme il sole, dove raggiungere la preghiera millenaria
per parlare all'imponderabile,
alla sua maestà,
all'amore sempre atteso, ma sempre sconosciuto.
Tristi frammenti di frastornate spemi
e frantumate mie illusioni ho ai miei piedi;
e possiedono anche facce e suoni e nomi;
e credute verità, echi di già uccise ingenuità.
Frammenti ed essi solamente sparuti cocci di troppe credute realtà
riflessi d'altre vite forse
un altro tempo che più non m'appartiene;
ora una semisconosciuta e già trascorsa verità,
ora un'introvata identità, ora un alito d'amore; agognato,
il suo calore, che più non mi sovviene.

Davanti il nulla


Davanti nulla vedo,
alle spalle, abbandonati eventi passati,
suoni e sospiri di ambizioni perdute.

Perché davanti v'è il nulla;
non so immaginare il futuro, c'è l'attimo, ora, e poi vuoti orizzonti silenti,
e quiete stelle forse senz'anima.

Grigiore assoluto, passa il tempo, un minuto;
e la vita inesorabile fugge, trascorre strisciando fra la pelle ed i muri;
agendo sull'anima stanca: provati dolori.

Perché davanti c'è aria e non altro, verdi e muti rossori, d'un tempo che fu;
illusioni al felice di giovani cuori, protesi agli amori.

Ieri era un volto bello, o forse anche di più; occhi capelli e colori, e sempre tu.
Davanti, oscuri presagi, realtà che dissolvono antiche fedi sbagliate,
chiasso sfrenato di vita era ieri,
ma oggi dond'è quella voce,
quei dolci romori,
quell'indaffararci creduto e obbligato, senza il quale pareva di non poter vivere.
Invece, si è vissuti lo stesso, ieri ed adesso;
ed ogni evento e cosa passano oscuri e remoti attraversati da lampi fugaci di luce stranita.

Perché qui; più spesso vi è oscurità; ed eventi insondati,
qua c'è solo la vita e noi esseri più che provati,
incarnazioni di una speranza smarrita, forse rubata,
forse forzatamente dimenticata.
In una realtà che è irreale, che crediamo nostra, ed invece ciò è solo quello che appare,
è come l'amore che non ci può mai appartenere,
come il sogno d'una cosa che inesorabilmente poi muore.

Come questo dolore di non essere esenti da cupezze e fantasmi interiori,
alla paura di esistere
a quella di andarsene, a quella di restare,
per divenire non altro che poveri uomini,
ebbri di lontananze anche nei pensieri, travolti da suoni,
da troppi colori,
per capire soltanto la propria condizione, cercare forse:
la propria certezza invece: essere per sempre soli.

Mie lontananze


Vedere, una lontananza... scorgervi tutto ciò che ti appartiene.
Scorgervi te e le tue vane promesse,
le credulità, i rammarichi ancor verdi,
le rincorse, le infinite età.

Vedervi le mie pazzie, le malìe, le discontinuità.
L'appartenenza al nulla, l'offesa dei fissi pensieri, il veloce ieri;
il male d'invecchiare, senza riuscire ad afferrare le cose che volli, e che oggi
ancor vorrei.

Scorgervi le promesse della vita, vane come le tue;
gli occhi, gli echi errabondi d'una storia finita, e l'agonia di mille e più passioni.

Vedere che m'allontano anche da me stesso,
seppur m'attanaglio con ferocia a quest'esistere,
gemo e mi lamento già da adesso. Sentore di tenebra dappresso,
io m'avanzo con un aggrapparmi disperato.

Le lontananze mie son il mio vero fato.
Nulla mai raggiungo; ma da tanto, tanto io mi sono incamminato...
Una sensazione sopra tutte: come una figura, un profumo
L'essenza d'un amore grande e senza fine;
scorto appena
e mai afferrato.

Io solitario


Solitario,
si frammischiano dentro e fuori di me, desideri e immagini.
Quando mi ridesto al mio reale, e non più altri od altro me mi fingo;
vedo la tragedia della vita mia senza soluzioni e fughe.

Solitario vedo confondersi i pensieri ed i ricordi; solitario,
come sono, come ero: sempre stato.

E guardo l'orizzonte mio lontano,
rimembrando ieri quando era facile autoingannarsi per continuare a vivere.

Promesse di felicità, che il fato mio, della sua stessa voce mentitore;
poi, nel dopo: l'oggi: non mantenne.

Solitario, m'aggiro nel mio nulla. La mia sola culla è madre terra,
alla quale voglio ritornare, ma il mio giaciglio è il cielo, oltre ogni cosa,
oltre queste mie vedute poste innanzi;
come queste montagne azzurre in lontananza,
troppo difficili da scalare.
Come la mia vita sempre senza, sempre in mancanza di forme di amore.

Solitario, andare, quest'inafferrato amore, incompresa anima mia;
che non vuole più, mai più patire,
all'incompreso attonito inutile soffrire.

Dove luoghi d'ombra - 1997


Dove l'ombra va a risolversi, in un cangiare istantaneo di sole;
dove l'essenza d'essa si compenetra alla mia inquieta anima
rabbuiata da stridenti mancanze...

Dove l'ombra pare morire,
e ci assurge al nulla.
La vita è una mancanza
e l'ombra ci riporta l'immagine di ciò che potrebbe essere d'altro;
mutevole misterico, ma chiuso ad ogni comprensione.

Dove l'ombra s'attarda al tuo attonito soffermarti, in un qualche dove,
un angolo; in ombra,
un oscurità repentina causata da un celarsi del sole.

Anch'egli non è che un riflesso del mondo, nel mondo;
e porta seco oltre che immisurabile luce, altre ombre di qualcosa d'arcano.

Una immensa invisibile mano che afferra segreta,
le residue tue forze, il malessere d'esistere,
e lo scaglia senza pietà nel silenzio assoluto.

Dove l'ombra è, passa un istante un minuto,
e tu, che ti dicono uomo, creatura; di chi?
Fatale, effimero, ora ricolmo di cose e pensieri, ora vuoto;
malato di desideri; dell'inafferrabilità del tutto,
della vita che trascorre veloce,
il tempo, l'amore; le brevi gioie, i lunghi dolori.

La morte, da sempre attesa, l'ombra sua, silente offesa,
qualcosa d'estremo, l'allungarsi lento della sua mano...

Dove son luoghi d'ombra: ecco l'uomo.
Le sue cure, gli oggetti, i fruscii di abiti stanchi,
stanche dimore fra silenzio e frastuono, e il rimembro d'antiche illusioni;
d'un infinito mai spento disio, care voci ed una, cari suoni,
un sospiro amato sul mio.

L'ombra amica sei tu, un riflesso, uno spettro ora, qualcosa di mio.
Un 'ombra son io; nel mio creder di vivere,
ch'è ombra anch'essa d'estesi abbaglianti universi
ch'or paiono vuoti e silenti, come immensi sepolcri;
abbandonati a se stessi, taciuti inerti.

Scende una lucida stilla su un viso, piccola ombra d'una lacrima, un gemito,
una parola, a DIO.

Declinata guancia su di una spalla ormai stanca,
e dentro un'anima disperante,
una luce dentro come bianca,
il tuo viso d'amore vicino al mio che ora mi manca,
ombra su di una via già conclusa senza più susseguenza,
il fato elude se stesso,
l'esister ci lascia, dolente l'io; ombra accesa forse d'altrove,
Mi chiedo dove; vi saranno luoghi senza più ombra?
Presenti di altri tipi d’amore.

Alla luna


A te che immota stai lassù nel cielo,
a guardia austera delle mie vicissitudini ingarbugliate,
delle mie lacrime di ogni giorno.

A te che immota stai vicino ai sogni,
vicino agli occhi che illumini di languenti raggi di zucchero filato,
che pari scendere dal blu di questa notte.

A te che immota stai;
a te che guardato hai, le vicende della perduta infanzia mia
di false fiabe, di false promesse poi divenute vane:
D'un tempo di cui provo ora paura e nostalgia.

A te che Immota stai, avvezza alle cure degli uomini viventi,
alle loro movenze senza senso
al non senso delle loro parole.

A te - che effondi dei tuoi raggi di dolce reposo
ogni finestra che nasconde una remota ora d'amore.

A te - che Immota stai e guardi
da che io son nato, i percorsi dei pensieri miei errabondi;
che valuti e
silente nell'immenso, il mistero nel mio cuore infondi.

A te - che nullo vento ti può muovere,
va il tributo mio.

A te compagna nelle notte dei miei pianti,
che sola, nel tuo silenzio vero
hai conosciuto l'intima essenza del cuore mio;
immota e ferma lassù a me innanzi.

Se da questa luce di sole


Se da questa luce di sole io sovvengo la bellezza e l'armoniosità
dell'immenso universo, è perché dentro a questo rinfrescato
vento mattutino del luglio; ho veduto qualcosa di grande
qualcosa che si vede e si accoglie con l'anima;
qualcosa che ogni cosa travalica
e non si può spiegare con conosciute parole.

E come se prendessi a volare, ho spaziato giocoso e estasiato
fra infiniti lembi di cielo, che azzurro come questa mattina
e chiaro e lucente così, io non avevo veduto mai.
Se, da questa luce di sole effuso fra ogni forma vivente, ho
avvertito un alito divinità; lo debbo a questa innata intuizione
che mi apre al mistero, agli arcani restati segreti;

Così dentro la natura elevato di commossi brividi di pace e di
ebrezza sconosciuta e magnifica, ho assaporato improvviso un
bagliore di eventi e di cose che sembrano eterne, ho veduto
la mia immortalità in una semplice ora qualunque; ho ancora volato
fra nembi e strati, altissimo e gioioso.

Ho penetrato ogni discrepanza
di rari pensieri ed eventi di vera luce, ogni canto d'altri
mondi, e quindi ancora il soffio divino.
Così anche lì, in quell'attimo rarissimo e caro ove il cuore tripudia
con l'anima all'unisono negli universi e con gli universi:

Ti ho atteso ma senza aspettarmi il tuo arrivo. E sei stata come
ogni cosa da me avvertita in quel mentre. Una parte di me che
pulsa di desideri e di amore come un'alba che non ha fine.
Una luce di luce vivente.

Altipiani degli antichi sepolcri


Quando le nubi del tardo meriggio
si squarciano all'azzurro prepotente del cielo che sembra tuonare,
mi sovviene lenta la nostalgia di qualcosa che ancor ho da trovare,
e pensieri e immagini.
Ogni scena s'avanza in un incedere lento
triste come di litania sentita già prima del vero,
innanzi a bianche, candide lapidi
stanche dell'attesa e logore
nell'immobilità che il tempo più non può mutare.
E avverto: l'imponderabile.
Come chiese di campagna all'odor della pioggia d'autunno appena cessata,
or vedo, mi pare; in così grande scena
un intuìto, vissuto di domani;
e ne ho la bramosia, e assaporo quel nulla ora.
Ed è pianto annullato di madre,
rassegnata e avvilita,
e nere donne in cantici incomprensibili stanno;
a riempir la mia nuova scena fantastica.
Cantano inni alla morte onde farsi udir, di rimando, dalla vita,
che regna loro malgrado sulle loro ataviche disperazioni.
Così a ricordar mille sepolcri d'erbacce nascosti,
e passati al passato come ogni cosa
che qui più non si scorga;
non v'è fermata in un'ombra, in una carezza che non avrà fine.
Torna visione campestre, là, nel fondovalle
rintocca l'eco lontano d'una campana
e canti di messa si levano
e liturgie si rinnovano
come ogni giorno, come ogni assoluto sempre.
Lo sguardo al di sopra si porta,
come al solito non afferro del tutto il divino
che sento regnare dietro i raggi di sole
scagliati giù dalle nubi ora più nere;
dentro al contrasto che rabbrividisce
i tranquilli pensieri.
E tutto si ferma all'ieri. Caparbio.
Ma sento, ed è gioia questa che per ora m'appaga.
E so di non sapere,
per l'ennesima volta più nulla;
e non v'è
né prima né dopo, né' sonno né veglia, né suoni né terra;
odore di terra.
E dove non c'è, ci son io;
fermo in un orizzonte sempre troppo lontano,
forse di là da venire;
io che cerco ancora una volta
di penetrare irrisolto la vita.

Casa mia è


Casa mia è un antico maniero,
una cupa foresta medievale selvaggia.
Casa mia è una pagoda, una moschea, un tempio qualsiasi del mondo,
le chiese.
Casa mia è la riva del Gange, è la campagna toscana,
è un casolare intravisto fra le messi
sprofondate nei raggi di sole d'un primo meriggio di un qualsiasi tempo;
è il vento.
Casa mia sono gli occhi degli uomini,
le voci, i miliardi di suoni degli esseri.
Casa mia sono le stelle, le luci nel buio delle case,
il cielo e la terra.
Gli oceani a tratti lunari e maestosi, nei quali tanto mi sono perduto
Casa mia è una voce di donna, di madre, di antico guerriero;
è la vicinanza celeste di una preghiera a lungo sentita.
E' una strada, un sentiero anche mio.
Casa mia è il luogo sempre diverso, sempre lo stesso;
ove io figlio devoto
vita dopo vita sono vissuto.

Se tu ci fossi


Se tu ci fossi ora avrei voglia di parlarti di ascoltarti,
di baciarti
lasciando però da parte le promesse,
eppoi domattina magari rivederci;
e abbracciarci come esseri smarriti e ritrovati;
alleviati a vicenda dalla presenza di questo vuoto infinito.
Se tu ci fossi, ora farei una festa, ma piccola;
per invitarti, per non deluderti,
forse per cercare di averti totalmente almeno un attimo;
prima che venga come sempre il tempo
a riportarti via dalle mie mani stanche
prima che venga domani temuto ambito, terrorizzante,
a farci credere di nuovo lontani.
Una nave fischia invisibile aldilà della finestra sotto un cielo arancione,
e rompe ora solo per un attimo il mio sempre rinnovato silenzio;
poi tutto ritorna all'assenza.

Assurto


Delle vastità ancor m'inebrio,
io sognatore del sublime; io vagante essere senza meta
assurto a sempre nuove infinità, orizzonti sempre più lontani.
Le mie paure, le mie prigionie le incomprensioni
quel me stesso mai placato che non so afferrare,
quel che credo di essere di buono e poi non sono,
quel me stesso a me sconosciuto.
Come m'inebria d'eternità questo limpido, trasparente,
quasi nuovo cielo d'estate.
Manca però la mia pace interiore mai avuta,
manca un alito di vero bene.

Palpebre (Divinatorium) - 1994


Dov'è la mia fede?
Dov'è se non scorgo che utopia, però - insieme all'amore-
comunque abbandono e inaudita angoscia dell'anima?
Dov'è quest'anima, la sua fede, i suoi vecchi ideali
le fiabe di ragazzo smarrito, le palpebre chiuse dentro una chiesa
per vedere l'altrove - quel dove dal quale io mi sento esiliato,
quel dove che non risiede in quest'angolo di Creato?
Dov'è la mia fede!? - Bizzarro bambino in uno spazio celeste
Col cuore nel volo di uccelli amici, di nuvole amiche, dimore
degli Angeli.
Dov'è la mia fede?
La ricerca strenua di te, nascosta e gemente,
selvaggia e divina.
E' ancora qui questa fede? Si aggira ancora dentro al mio essere
fra l'intelletto e l'io, quell'io amato e poi odiato?
Amato e poi odiato; altra dualità presente in me.
Me - palpebre chiuse dentro a una chiesa fra ceri e cimiteri e,
affetti spezzati: oggi, ieri e domani.
Domani c'è la mia fede che è qui, come qui è il silenzio
che è l’adesso - mentre io caparbio la cerco.
E' un cesto di rose, è un fascio di spine, è un suono già presente
qui dentro che assapora aroma d'amore. Dov'è la mia fede?
La Croce? Maria? O solo quel Dio, così amato e conteso,
così tempestoso, così tremendo e giocoso? Dov'è la mia fede?
Essa è tutto Gesù e lacrime, al male d'essere uomo fra gli uomini,
figlio fra i figli all'ombra Sua che assoggetta il creato intorno
al silenzio. Fede ci sei! Sei dentro, comunque ancora ti sento.
Io palpebre chiuse dentro una chiesa per udire non altro che
un aprirsi e chiudersi ammonitivo di porte.
Dov'è la mia fede, se mi dico buono e poi non lo sono? Dov'è la
Tua mano su me Signore? Per me, poco uomo, che vivrà fra
pianto e abbandono per cogliere solo un breve sorriso e poi
cercare e cercare di Te.
Dov'è la mia fede? Se nonostante tutto, oggi sono qui, palpebre chiuse
dentro a una chiesa, coi pensieri nel cosmo infinito, con la mia negligenza
di Te:
col perdono al cielo chiesto e gridato, con queste mani giunte su di
un cuore che non s'è mai indurito su una coscienza presente -
la mia - monito a me stesso acceso.
Dov'è la mia fede se non nel conoscerti ancorché dolore ed orrore
fra gioia e sgomento Signore fra le braccia stremate del mondo?
Io, palpebre chiuse dentro a una chiesa, l'anima mia in un oscuro
sentiero di ombre come in attesa.
Un pozzo infinito di ombre! Su di un viale pervaso di speranza
ricolmo di vero amore.

Immagine diversa


Immagine diversa, vivere diversamente;
bramando un sorriso, carezzando un giovane viso.
Ma le notti sono masturbazioni eloquenti e sublimi;
a ricordo di soffici carni amate di ieri,
di corpi che m'hanno segnato,
di sguardi che m'hanno per sempre rapito.
La notte è una lingua che cerca qualcosa da afferrare,
è due labbra di ansia d'amore;
la notte è il tuo odore,
la pelle dorata e perfetta,
l'interminabilità delle tue cosce.
La prostituzione dei tuoi languidi e crudeli occhi,
inclusa in essi, solo per me.
Immagine di due, noi;
su questo letto diversi ed uguali uno all'altro;
io prostituta a mia volta, negli occhi e nel corpo,
che amalgama il tuo.
La notte di due somiglianze,
è la mia bocca che ora corre su te;
è le mie mani sulle tue gambe;
è la mia guancia sul tuo ombelico.
E' un nuovo peccato che vive con me una volta di più;
è un nettare ch'io solo assaporo,
la notte, mia notte, nostra ora;
con le membra sfinite, adagiate sulla tua nudità.

Quante volte anima mia - 1997


Mia anima, quante fosche luci, non chiare in semiombra hai conosciuto.
Dalle memorie del passato remoto della vita;
riaffioravi per capire e domandare, e non giunse mai risposta vera,
a placare le tue angosce.
Quanti luoghi hai scandagliato, ferma o in corsa,
quante volte hai combattuto e perso, nel cipiglio breve e fiero di valerti.
Hai pianto; d'estreme nostalgie.
Quante mani hai conosciuto, e visi e voci per cercare di sentirti meno sola;
poi ti rituffavi nel passato, unica cosa che consola;
alla triste nullità e vaghezza degli eventi della vita.
Ti sei ammansita; ma non mai arresa!
Quante volte hai aperto eppoi richiuso una porta di speranza;
senza trovar null'altro che amare delusioni;
e le sensazioni hanno cosi avvertito: milioni d'aldilà.
Intuite verità che forse già avevi conosciuto.
Votata tu, all'amor certo, ma anche con esso all'immensità del vuoto;
quante volte hai tuffato i tuoi pensieri bui, come quelli lucenti ed assoluti:
verso abissi d'infinito. Quante volte hai intonato melodie d'eternità.
Poi, coi tuoi invisibili occhi; tanto ti sei stupita... ANIMA MIA.
Non ti sei più riconosciuta, invero classificata mai;
dall'utero in avanti: donna o uomo.
E qualcosa ha offuscato la tua luminescenza…
Sei restata " senza ", da sempre; e non so dir se sia solo mancanza.
Forse d'amore; o chissà cos'altro, attitudine all'oblio, o al vasto inutile vagare...
Quante volte, una melanconia, un misterioso dolore,
un riconoscer cose passate, antiche
eppoi riprecipitare di nuovo nel reale, in assenza della tua agognata pace.
Sei restata, sola; perplessa e guardinga;
e t'arrestasti un dì, come al delimitare d'una soglia, al suono d'un perché,
e all'eco caldo irresistibile d'una femminea voce.
Chi o cosa mai può essere o è, povera anima mia;
ancora, è attesa, ed assoluto nulla
sulla nuda terra vi è.
Ed il tuo dolce cuore, mesto e muto, addolorato: tace.

Donne di riviere - 2008


Non vi sono più donne nelle mie riviere;
quelle dei ricordi d'ieri, foriere di nostalgia d'istanti giovani vari
Ed avevo dieci anni più di trent'anni fa, avevo dei sogni
trasformati poi dalla vita in disillusioni e bugie.
Oggi sono malinconie, date forse dai tanti dovuti abbandoni.
E le riviere, parevano non vissute in allora;
quando il timore di crescere misto al suo desiderio,
mi rendeva in immagini altrui l'inarrivabilità del mio divenire.
Riviere era: sognare, poi l'oggi altro non è stato,
se non un incessante fallire.
E su quelle riviere salmastre, le donne son state, solo ombre care
svanite sul nascere; mentre cercavo di crescere,
mentre cercavo in allora il passato, le lacrime sue;
paventando sperando l'amore più vero dell'avvenire;.
Ora riviere sono un 'eco d'eterna risacca,
il loro moto è luce riflessa, è linea persa d'orizzonte di mare.
Le donne che ho dovuto amare ieri:
hanno saputo pur restando solo scomparire.
Restano verdi ricordi, e sono profumo di nostalgie
mentre il vento spazza riviere,
e immagini di donne che son state pur fugaci sogni:
anche mie.
Le riviere attendono inverni...

L'istante dell'Orsa Maggiore


Voglio voler bene, se non che non trovo sguardi amici.
Ho voluto bene, ho stivato amarezze nel mio cuore.
Sono stato mille volte prigioniero, fra estasi e disperazioni;
ora aggregato all'essere e alla vita fin quasi nell'atomo, ora disgregata
particella sparsa come le altre mie; su di un viale di incertezza, di cadute
stelle, di malinconie.
Voglio voler bene, se non che non trovo più così facilmente l'orsa maggiore
e la minore sua eterna compagna: levando gli occhi al cielo.
Ho voluto bene, è mostruoso e amaro quanto inutilmente.
Sono stato libero
nelle galassie, udendo il divino respiro; sono stato prigioniero di un cortile
verde e di teneri capelli bianchi di puro amore... la mia infanzia perduta....
Ma non ho trovato il bene, non più; ed ora è solo nei ricordi: è tardi.
E l'oggi è arido confine di questo mio attonito stupore innanzi all'odio,
al falso, alla violenza: confine fra queste bassezze e la certezza di avere
davanti, oltre le stelle amiche; solo carestie di carezze.
Voglio voler bene, ma dove sei casa, dove sei calore, dove sguardi madri
come madri sono questi occhi di orsa maggiore, che mi scrutano dal cielo: ora.
La magica stupita notte...
Voglio voler bene, ma dove sei luce; parvenza di spirito dove folletto o mago;
dove fraterne mani, e carezze di tolta impudicizia tramutatasi in bene vero,
sacro, puro: ora; per me
per questa mia anima perduta
Ho voluto bene, io sasso e fiume, io finestra arcana e senza vetro; io vento
fresco, indomito acceso. Albero stagliato fin alle infinità delle galassie;
altissimo, a guisa di grido. Sono io sempre e solo io: quest'urlo a Dio;
questo panico mio in cerca di bene; solo io: con l'anima lassù oltre l'orsa
maggiore, mentre qui resta di ciò che resta di un uomo;
io che malgrado la vita; vivo senza conoscere amore;
né speranza d'un vero perdono.