lunedì 27 settembre 2010

L'ora di Lucca


Pomeriggio, ad un'ora di mescolanze e d'odori, fervente si muove ogni attività; ci siamo! E' l'ora scolastica del ricordo d'asilo, ove fanciullo scoprivo i misteri d'intorno.
È pomeriggio, è un'ora di Lucca, antica sospesa ora, novembre alle porte scolora del cielo ogni avanzo d'estate, lascia il posto ad un grigio come non di Toscana, e si odon russare aldilà dei comuni frastuoni; le stufe già accese dei cascinali della estrema periferia, fino al pulviscolo posato sui marmi anneriti dal tempo, di chiese e case di Lucca di dentro.
Rabbuiati tramonti delle quattro e mezza pomeridiane ancora, solari, in accesi desiri come ombre sui muri come scale secolari, come mattoni di cattedrali, e Lucca ne è piena; sul far della sera, dentro città camminando, mi par lieve d'udire un canto ; come una messa perenne ed arcana.
Sono i vespri, di lì a pochi minuti, e vedo avanzare la vita, e giorni scaduti per la mia temporaneità, la mia brevità, io cresciuto in fretta, troppa dentro ai vestiti, io che altri dicono uomo; ma che dentro mi sento e mi vivo ancora bambino! È un’ora di Lucca, era ieri solo ieri la prima tv, pomeriggi di pioggia, cucina e giocattoli, e qualcuno in più, un bene ch'or non è più.
Eppure è pomeriggio come è sempre stato, ma qui è differente, qui a Lucca sembra sempre appena nato, come il nostro amore d'ieri creatura, ormai assiso al passato; assurto alla sommità d'un trono da Re, il più grande amore forse non mai contaminato, e di certo mai più rivissuto.
Ed il cielo è in grigiore, e tacciono le voci ed i cani, su corti e giardini antichi,
su torri di medioevo guardiane di Lucca di fuori; su colline a perdita d'occhio
su scoscesi altipiani.
Tutto si muta in antico; qui dove tempo è fermato; qui fra gatti e stanze immense
e affrescate; fra assenze volute; fra vie buie lasciate alla mercé delle sera,
ad ore silenti dormienti e perdute.
E grida il mio cuore all’ieri innocente, fra chiese e prati e la mia fantasia; fra i miei abbandonati mondi incantati. E Lucca è una culla che non mi sa più dondolare, Lucca mia mancanza d'amore, luce d'estate di mura magnifiche, ma fredda qui, come senza fine accecante solare.
AI ricordo antichissimo d'emozioni perdute e mollezze mie dolci, femminee e vane, come quando intravidi fra le foglie degli alberi su baluardi remoti, la vera radiosità che si svelò a me attraverso i tuoi occhi perduti ben oltre la piana, tu creatura remota e lontana.
Fosti tu, deja-vù come trascorsa, presenza vana al di là del tuo oro e del tuo blu, fra cielo e luna, fra galassie immemori innumeri, ove altre città riflettono forse un'altra città, un'altra Lucca oltre questa di qua, ed altri noi stessi senza tempo né luogo; a rifletterci come sempre gli occhi ed il cuore; mentre l'anima grida all'oscuro fato e all'altrove: il suo bisogno d'amore.
E la mia, sperduta e raminga fra vecchi viali alberati, cerca la tua, nella Lucca magica e deserta dei nostri due cuori, ove s'avvicina l'inverno, come della natura; così della giovinezza perduta, della stessa nostra vita; dei nostri impossibili eterni amori, della nostra storia finita.
E Lucca, Lucca or mi pare una presenza stranita, un luogo dell'oltre, miraggio come fatato d'un oasi pian piano svanita.
Ora, ora che, l'ora è appena passata, nei richiami inudibili d'un anima abbandonata.
Mille volte e mille secoli in agonia; e mille volte riammessa alla vita.
In un'ora di Lucca, in un tempo all’infinito presente, ora per sempre fermata, intatta anni luce distante, nata e rinata eternamente, e forse mai veramente idealmente vissuta.

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